LA STORIA DI FRANCO – Paolo Moreschi

Tra le opere d’arte fondamentali di questo 2019 va sicuramente annoverato il “Joker” di Todd Philips che, attraverso la rilettura di uno dei più noti e inquietanti “cattivi” fumettistici di tutti i tempi, ha riflettuto sulla pazzia come effetto delle atrocità del mondo e dell’indifferenza della società. “Sommamente repellenti sono le sue fragili e inutili nozioni di ordine e sanità mentale. Sottoposte a una pressione eccessiva… esse cedono“, con queste parole Joker descrive la psiche umana in The Killing Joke di Alan Moore, una delle graphic novel più conosciute della saga di Batman. Il senso generale di tale visione spinge a considerare la mente dell’uomo come un elemento dall’equilibrio labile: basta una giornata storta, un momento di tensione o di difficoltà, perché essa si indirizzi sull’orlo del baratro. A maggior ragione, verrebbe da dire, se il contesto è quello dell’emarginazione sociale e dell’alienazione.

“La storia di Franco” è un album che tocca solo marginalmente il tema della follia, perché il suo protagonista sembra più cadere in un equivoco che non essere davvero colpito da squilibri mentali. Appare più come il bersaglio del gorgo istituzionale, sempre alla ricerca di capri espiatori. Ne è la prova il finale positivo, ottimistico, nel quale Franco dopo essere “caduto” si rialza, si riappropria della sua vita grazie ai profumi e ai luoghi che gli sono familiari, riscoprendo la felicità delle piccole cose e la solidità delle proprie radici. Ma i comportamenti, i pensieri e i sogni che vengono raccontati sfiorano talvolta il limite che separa la stabilità dalla mancanza di controllo. E le cause che l’istanza autoriale sembra indicare rimandano alle frustrazioni del quotidiano, alla zavorre mentali che impediscono di correre alla stessa velocità del tempo, ma anche agli inganni perpetrati dalla società contemporanea. Si crea un certo parallelismo con il film e con il personaggio interpretato da Joaquin Phoenix. I due testi, infatti, pur lontanissimi tra loro, in qualche modo si pongono dalla parte dell’emarginato, puntando il dito verso le fasulle aspirazioni dei gruppi sociali dominanti.

Paolo Moreschi è un cantautore torinese, il cui nome rievoca momenti di grande fermento creativo e aggregativo per la nostra scena musicale. È stato infatti il chitarrista dei Coyote Popular, una delle band più rappresentative del movimento antagonista pinerolese dei primi anni Novanta, che seppe unire le tematiche socio-politiche a una personale interpretazione della musica folk, definita “d’assalto”. Nei venticinque anni successivi, Moreschi ha perseguito svariate strade espressive senza mai prescindere da una certa componente teatrale, complice forse il sodalizio con Domenico Castaldo – leader dei Coyote, oggi personalità di spicco del teatro sabaudo – con il quale ha dato vita a un rapporto di collaborazione artistica che dura fin da allora.

La duplicità stilistica, in cui convergono la sensibilità verso il sociale e l’irrinunciabile dimensione drammaturgica, si ritrova anche nel suo nuovo lavoro, un concept che riflette in particolare sulla condizione emotiva dei “senza dimora”. A partire da un reale episodio di cronaca, Moreschi costruisce un’ipotetica vicenda attorno alla figura di Franco, ripercorrendone i tratti salienti. Il ragazzo che fu, spocchioso e spavaldo ma anche combattivo e carico di sogni e speranze per il futuro, viene traghettato dagli eventi verso una vita da clochard che lo condurrà al reparto psichiatrico di un ospedale in conseguenza di un trattamento sanitario obbligatorio. È curioso scoprire che la storia così come la ascoltiamo nel disco nasce molto tempo dopo le canzoni che la raccontano. Esse sono state infatti concepite autonomamente, senza l’obiettivo di essere parte di un progetto di largo respiro come questo. Malgrado ciò, esse reggono con sorprendente coerenza l’accostamento quasi casuale, dando vita a un universo narrativo che sembra invece studiato a tavolino, estrapolando un messaggio nascosto quasi come fa la fiamma con l’inchiostro simpatico. Il racconto finisce così per non possedere una struttura lineare. Esso si sviluppa infatti con un andamento ondivago, fatto di flashback ed ellissi temporali, che se da un lato interrompono la fluidità della storia, dall’altro permettono una focalizzazione precisa su poche ma cruciali circostanze. Gli avvenimenti sono congiunti soprattutto dalla scenografia tutta torinese, e dall’imprescindibile libretto che precisa tempi e spazi nei quali le vicende hanno luogo, come fossero scene di una pièce teatrale. Il tutto è commentato visivamente dalle illustrazioni di Marco Martz, che impreziosiscono l’attitudine sincretica di Moreschi. Lo stile cromatico dell’artista, fatto di bianchi e neri tra i quali spiccano gli inserti rosso sangue, sembra perfetto per fornire ulteriore enfasi a un’ambientazione cupa, notturna, ma soprattutto tesa, nella quale si riflette la vita del protagonista. Dal vivo, poi, tutto questo lavoro si completa dalle parti recitate a monologo – l’intensità di Moreschi è notevole anche in questo ruolo – che compattano la struttura narrativa con i dettagli emotivi e cronologici mancanti, e dal disegno in diretta dello stesso Martz.

Presentazione della “Storia di Franco”

Franco è dunque un “senza dimora”, ma prima di tutto è un uomo che ha visto infrangersi il proprio progetto di vita contro il muro dello scorrere del tempo, tra le asperità e le ansie quotidiane. Ma è anche l'”ideale tradito di giustizia sociale” che cede di fronte alla “rivoluzione comoda”, quella che insegue cambiamenti guidati dalla vanità e dall’opportunismo, primo passo verso l’umiliazione del suo universo valoriale. L’effetto è uno sviluppo comportamentale schizofrenico, in quell’antinomia tra termini contrapposti – piacere/dolore, coraggio/paura, entusiasmo/tristezza – all’interno della quale è complicato scegliere la propria strada. Franco è simbolo di una condizione emotiva irta di difficoltà di adattamento, che conduce a uno stile di vita alienante, oggetto di emarginazione. L’accusa del protagonista è inoltre indirizzata ai princìpi dell’educazione tradizionale, quella che impone il passaggio attraverso tappe irrinunciabili, pena l’esclusione sociale. La critica è tutta raccolta nelle parole rivolte alla madre durante la sua detenzione – “mi sono diplomato”, “sì, ci sposeremo presto”, “sei tu che mi hai sbagliato, mi hai vestito di dolore e reso pazzo da legare” – che lasciano poco spazio all’immaginazione.

Atmosfere acustiche, saltuariamente sporcate da distorsioni sempre molto bilanciate dall’interpretazione controllata, quasi sussurrata, di Moreschi, in un affresco suggestivo della Torino notturna nella quale non mancano le contraddizioni. La storia non è solo quella di Franco, ma è metafora universale della condizione di chi non riesce ad agire i comportamenti attesi e a conformarsi al sistema di regole più o meno imposte, e che per questo finisce ai margini. L’effetto è quello della resa, l’imbelle abbandono delle proprie illusioni, simboleggiato dal gesto distruttivo che chiude “Stanco”, nel quale la devastazione della propria casa si erge ad atto concreto della sua disgregazione psicologica ed emotiva.

L’album è bellissimo, costruito con una scrittura essenziale, a tratti quasi minimalista, tra splendide armonie e poesie immaginifiche, in un clima torvo e nostalgico, in cui traspare il rimpianto come elemento cardine. Le canzoni veicolano contenuti di spessore che si prestano a molteplici letture, forse anche lontane dalle iniziali intenzioni autoriali. Ma il valore di un’opera si misura anche sull’entità delle riflessioni che è in grado di innescare, e la “Storia di Franco”, da questo punto di vista si erge a piccolo capolavoro, grazie anche all’interdisciplinarità che evidenzia una perfetta armonia tre le componenti musicali, testuali, attoriali e figurative. Se vi piace la musica cantautoriale, è un disco da non perdere.

Per avere maggiori informazioni, potete visitare la pagina Facebook di Paolo Moreschi all’indirizzo https://www.facebook.com/lastoriadifranco/.

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Tempeste – Paolo Moreschi

Dal 25 aprile 2021, “La storia di Franco” è anche su Spotify.

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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