“Atalante” e T.U.N., in due album l’eclettismo di Mattia Barbieri

Mattia Barbieri è uno dei musicisti pinerolesi più acclamati degli ultimi vent’anni e basterebbe sfogliare le pagine del suo curriculum per averne una testimonianza concreta. Tecnica e gusto sopraffini, ma anche uno spiccato eclettismo, gli hanno permesso di cimentarsi con la totalità degli ambiti musicali contemporanei. Dal jazz, suo universo stilistico elettivo, fino al pop e alla musica d’autore. Tra la fine del 2019 e questo straniante inizio di primavera, sono uscite due interessanti produzioni discografiche con Mattia alla batteria, che confermano una versatilità senza pari, anche e soprattutto se osservata dal punto di vista dell’interesse per l’esplorazione continua delle potenzialità espressive della musica.


“Atalante” è un album uscito alcuni giorni fa a nome del contrabbassista torinese Federico Marchesano, il cui titolo si ispira all’omonimo film del cineasta francese Jean Vigo, esponente di spicco del realismo poetico transalpino anni Trenta. Gli oltre quaranta minuti di musica contenuti nel disco sono una meraviglia assoluta per le orecchie e per il cuore. Come nella pellicola incompiuta di Vigo, il vero propulsore emotivo di questo lavoro è il mood poetico da cui si lascia attraversare senza sosta. Il mondo del jazz ha capito da tempo che l’autoreferenzialità, per definizione, è fine a se stessa, e si sta sempre più concentrando sul preventivo lavoro di costruzione, attraverso il cesello della composizione, dell’arrangiamento e della ricerca timbrica, in un approccio che per certi versi lo avvicina alla musica classica. Senza rinunciare ai momenti più virtuosistici dell’improvvisazione, è la ricerca dell’intensità emotiva, in grado di colpire senza mediazione l’interiorità di chi ascolta, a giocare un ruolo da protagonista. “Atalante” denota una tale ricchezza di dettagli che, a provare ad analizzarli tutti, c’è il rischio di perdersi. Allora meglio lasciarsi trasportare dall’incanto dei suoi suoni, carichi di un fascino incontrollabile, a volte vagamente retrò, che senza interposizioni di sorta ci mette di fronte a noi stessi. “Le voci dentro”, ad esempio, apre l’album collocandosi come la traduzione sonora dell’interiorità, in cui si fondono pulsioni, sentimenti, energie, veli di malinconia e rabbie represse. Gli strumenti armonico-melodici si scambiano le parti in un meccanismo di sostituzione continua realizzato con grande attenzione ed equilibrio e si fanno allegoria della convivenza delle varie condizioni annidate nelle profondità dell’animo. E la scelta timbrica, fondata soprattutto sui solismi del clarinetto basso e del contrabbasso, quest’ultimo suonato con l’archetto sui registri più acuti in maniera quasi “violoncellistica”, rafforza il contatto diretto con la parte più intima di noi proprio per le specifiche sonore dei due strumenti. Il tutto, rinunciando a passaggi eccessivamente tecnici a beneficio di atmosfere rarefatte e profonde, ispirate da un approccio sostanzialmente minimalista. Lo stesso discorso vale per “La vita felice”, in cui però spicca il solo da brividi di Louis Sclavis, clarinettista francese a ragione considerato tra i migliori al mondo – in carriera ha fatto parte, tra le altre, delle formazioni di Henri Texier e Michel Portal – presenza che rappresenta un plus non da poco. L’alternanza delle atmosfere è incessante. Le due ballad sono intervallate dalla forsennata “Germinale” e della sua complessa struttura di ispirazione prog, e seguite dalla chitarristica “Terra”, che veleggia su sonorità più “classiche”. Ma non mancano altre contaminazioni, come quella di matrice etnica di “Shipwrecked”, titolo ispirato all’omonima immagine di copertina dell’artista polacco Czesław Podleśny, o come la concezione ritmica generale, che pur non rinunciando mai alla raffinatezza di genere, ha radici ben piantate nel mondo pop-rock. Il disco è stupendo, anche perché riesce a mettere insieme il meglio delle influenze dei quattro musicisti, che sembrano trovare in questo connubio lo spazio giusto per sviscerare quanto di più espressivo possiedono nel loro portfolio. La formazione, guidata dal già citato Marchesano, contrabbassista con alle spalle una discografia che consta di più di cinquanta titoli, si completa con Enrico Degani, protagonista con la sua chitarra classica di alcuni dei momenti di maggior intensità.


Tra le contaminazioni che il jazz ha ricercato anche con una certa insistenza negli ultimi decenni, c’è sicuramente quello con la musica elettronica, la dance e le varie forme di sonorità da club. Risalgono agli anni Novanta le prime formazioni che inventarono, quale sottogenere della fusion, il cosiddetto acid jazz. La raffinatezza delle armonie e la tecnica improvvisativa si innestavano su beat elettronici, con sonorità vicine al mondo techno e house, non di rado accompagnati dalle vocalità hip hop laddove previsto. I Torino Unlimited Noise (T.U.N.), e il loro EP “Jason” uscito a fine 2019, si inseriscono nell’evoluzione di quel rimescolamento espressivo, facendo dell’elettronica il primo strumento stilistico della loro arte. Parti di batteria eseguite talvolta su un sample pad, il sax che viene caricato di effetti spinti all’eccesso, ma soprattutto i sintetizzatori utilizzati al massimo dell’acidità timbrica, non solo non inficiano la qualità estetica del risultato, ma ne aumentano il groove, tutto aggrovigliato attorno a un incedere funk, infarcito di poliritmie, dalla carica energetica inesauribile. I T.U.N., nati nel 2018, oltre a Mattia Barbieri alla batteria, sono composti dal saxofonista Gianni Denitto e dal tastierista Fabio Giachino, tra i migliori musicisti del jazz sabaudo – anche in questo caso c’è da impallidire a leggere l’elenco di artisti con i quali hanno lavorato – che con questo mini-album dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la possibilità di esibire una perfetta padronanza degli stilemi di genere senza rinunciare all’innovazione stilistica.

Buon ascolto.

Ones

ones

Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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