SEROTONINJA – Tito Sherpa

L’occhio racchiuso in un triangolo fa parte di una tradizione iconografica, posta tra il sacro e l’esoterico, che nel tempo ha assunto significati e interpretazioni diverse sulla base dei contesti nei quali è stata utilizzata. Indipendentemente dalle circostanze, però, l’immagine è diventata simbolo universale di una forza superiore che osserva e giudica, con connotazioni che sanno di stretto controllo e severa ammonizione. Il rapper Tito Sherpa, al secolo Tito Pasini, classe 1994, originario della Val Pellice ma con lo spirito cosmopolita, forgiato da molteplici esperienze metropolitane e internazionali – nel curriculum anche importanti attività di volontariato in alcuni paesi dell’Est europeo – ha rielaborato l'”Occhio della Provvidenza” offrendogli nuovi possibili caratteri semantici. Collocato in copertina all’interno di un triangolo di conifere, esso si fa sineddoche che elegge la Natura a vera e concreta divinità, unico arbitro deputato alle supreme valutazioni per le azioni umane.

“Serotoninja” si apre con “Uomini di vimini”, in cui una voce narrante esordisce con frasi che pongono fin da subito l’individuo non come parte della Natura, ma in contrapposizione ad essa. “La più ignobile delle tue creature è l’uomo, signore” è più di una sentenza. “Il ramo per natura punta al cielo ma se lo si adopera crea un cesto, l’uomo per natura punta al dito, forse si accorgerà di puntare se stesso” è più di una citazione del noto proverbio cinese. La natura è saggia e sa che la sua forza sta nell’aggregazione, l’uomo è lo stolto che si perde nei suoi individualismi egoistici. La natura come atmosfera generale è da sempre un elemento importante della poetica di Tito. A partire dal riferimento vegetale della “misticanza”, nome della crew valligiana di cui Sherpa è stato parte – e che in questo disco viene ricordata da una traccia omonima – fino alle copiose citazioni di toponimi della Val Pellice, o quelle riferite alla cultura del posto – la presenza diffusa di rimandi all’universo “hockeystico”, il pub Cele, ecc. – che, celati tra le pieghe del testo, evidenziano l’importanza che per il rapper ha la celebrazione delle proprie radici. Ma questa è solo una delle possibili chiavi di lettura di questo album, nel quale in evidenza rimane la riflessione sui limiti dell’uomo e i suoi tentativi di affrancarsene.

Due sono i punti di forza di questo bellissimo lavoro. Il primo è la scelta di affidarsi a diverse produzioni per la realizzazione delle parti strumentali, che offre uno spettro sonoro molto ampio, oltre che estremamente originale, per una varietà timbrica che si evolve e spiazza senza soluzione di continuità. La ricercatezza compositiva è ben lontana dal modo di intendere il genere degli ultimi anni, in cui spesso sono proprio i cliché ad avere la meglio a discapito della sperimentazione. Ma d’altronde in “Sveglio di notte” il “Boom Bap Antitrap” ci fa capire in modo inequivocabile da che parte sta Sherpa. La ripetitività delle ritmiche di certa trap, che scivolano incessantemente sul già sentito, qui si trasforma in un continuo alternarsi di gusto retrò e avanguardia elettropop. Ascoltando bene, ci sono persino finezze musicali come in alcune armonizzazioni vocali o nelle linee di certe melodie che, senza gridare al capolavoro, sanno stupire positivamente.

Il vero plus, manco a dirlo, sono però i testi. In “Serotoninja” si esalta la funzione poetica del linguaggio, con le ricchissime proprietà lessicali dell’autore che si fondono in continui calembour. I giochi di parole si susseguono in una serie di raffinati esercizi di stile, a partire dal titolo dell’album che fonde la furtività degli antichi guerrieri giapponesi con l’ormone del “buon umore”, esortando a cercare “la felicità nell’ombra”. Parte così un “caparezziano” carnevale linguistico dove trovano posto anche molteplici citazioni che vanno dalla cultura popolare, come la musica e il cinema, fino alla letteratura e alla civiltà classica. Qualcuno, specie se non avvezzo al genere, potrebbe obiettare che, nel coacervo logorroico di un tale bailamme verbale, il rischio è di perdere di vista il significato, eleggendo a protagonista un vacuo significante. In realtà l’esaltazione di un tecnicistico utilizzo della lingua ha anche una sottaciuta funzione fàtica, quella che attiva il canale comunicativo e impone l’attenzione di chi ascolta. Se si è disposti a immergersi profondamente nelle complesse costruzioni sintattiche del testo, ci sarà la possibilità di avvicinarsi il più possibile al nucleo del messaggio, traendo grande soddisfazione dalla coerenza tra estetica e contenuto.

Poi, certo, in questa dimostrazione di capacità linguistica c’è sempre anche un pizzico di autoreferenzialità narcisistica. Ma l‘hip-hop è spesso avviluppato su stesso, sia nell’estrema personalizzazione dei temi, che vanno dall’autoesaltazione fino al dissing, sia nell’ossessione esibizionistica delle abilità individuali nel fondere la perlustrazione dei paradigmi che il vocabolario offre con il livello del flow con cui li si esprime. L’egocentrismo è provato anche dall’abitudine di citare in ogni pezzo gli autori delle tracce, allo stesso modo in cui gli artisti figurativi griffano le loro opere. Ma “Serotoninja”, pur rimanendo nell’ambito della critica sociale, sa sganciarsi dagli stucchevoli stereotipi del genere. Grazie a un intelligente e geniale lavoro terminologico ma anche alla differente modalità con cui affronta le tematiche sociali. Non più la sfruttata immagine dello sfortunato ragazzo nato ai bordi di periferia, tra criminalità, droga e disagio familiare, che fa i soldi e il successo grazie alla sua risolutezza nel combattere contro un mondo violento che lo schiaccia. Qui c’è soprattutto un individuo legato alla sua terra, cui non risparmia critiche ma da cui trae linfa per il proprio sostentamento fisico e spirituale. Un soggetto imperfetto, come racconta in “Io sono”, capace però di sondare in modo maturo anche altre sfaccettature del nostro vivere sociale: il già citato rapporto uomo-natura, l’alienazione dell’individuo contemporaneo (“Joker”) o il banale provincialismo che serpeggia nella società di oggi. Un bell’esempio di tutto questo è “Fümisia”, che amplia la ricerca linguistica dell’album con l’utilizzo del dialetto piemontese, in cui il fumo rappresenta la densa coltre del qualunquismo al di sopra della quale l’autore, con le sue riflessioni, mira a collocarsi.

“Serotoninja” va ascoltato bene, con le antenne dritte, pronte a captare la mole di stimoli in esso racchiusi. Richiede una certa concentrazione, non nasce per la fruizione distratta. Ma, è certo, il livello di queste 14 tracce, tra alti (molti) e bassi (pochi, per la verità), è in grado sicuramente di entusiasmare gli appassionati, ma soprattutto di far ricredere i rap-scettici più incalliti.

Buon ascolto.

Ones

ones

Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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