DECANTER – Accordi Disaccordi

Il decanter è quel particolare contenitore in vetro, simile a una bottiglia, che si utilizza per preparare il vino alla mescita. La sua forma allargata alla base, e il tipico collo allungato, ne agevolano infatti il processo di ossigenazione, permettendo al nettare di Bacco di acquisire la giusta struttura e “di sviluppare nel modo migliore il bouquet aromatico” (cit. Wikipedia). “Decanter”, però, è anche il titolo del nuovo album degli Accordi Disaccordi, il trio jazz manouche di Alessandro Di Virgilio, Dario Scopesi e del pinerolese Dario Berlucchi. Nel quinto lavoro della sua discografia, il trio estende ulteriormente il discorso attorno al proprio genere di riferimento. Così, un po’ come il vino nel decanter reagisce chimicamente al contatto con l’aria, innescando tutte le sue potenzialità olfattive, la formazione torinese allarga gli orizzonti del jazz gitano, permettendo alle proprie sonorità di sprigionarsi in un’affascinante esplosione di fragranze.

Sulle tracce di Django Reinhardt, e senza dimenticare la lezione imprescindibile di interpreti contemporanei come Bireli Lagrene, gli Accordi Disaccordi esplorano così le molteplici variabili della tradizione gitana. Perché uno stile sviluppatosi all’interno di comunità non stanziali deve per forza avere nel suo DNA l’attitudine a contaminarsi con nuovi linguaggi. Non solo quello dello swing americano degli Anni Trenta, che il chitarrista belga mescolò con la propria storia folklorica, inventando di fatto il jazz manouche; ma anche i prestiti linguistici estrapolati dalle tradizioni popolari transcontinentali più disparate, che ci trasportano in giro per l’Europa grazie alla forza evocativa delle note. L’ascolto ci fa così viaggiare da Est a Ovest come se anche noi fossimo parte integrante di una società nomade e ne condividessimo il peregrinare.

decanter accordi disaccordi copertina

L’impianto è quello tipico del trio manouche (due chitarre e un contrabbasso), così come elemento caratterizzante è la sua classica pulsione ritmica. Le pennate cadenzate di Berlucchi ricalcano proprio l’inconfondibile accompagnamento del gyspy jazz, utile anche per rinunciare quasi completamente all’apporto delle percussioni. Ma la storia etnografica della cultura romanì è di una complessità tale che anche le sue tradizioni musicali risultano difficilmente incasellabili in definizioni predeterminate. In “Decanter”, gli Accordi Disaccordi danno conto di questa varietà, allargando il più possibile la gamma delle atmosfere. Nella prima parte, ad esempio, emerge soprattutto un’anima latina. Gli elementi tipici del flamenco andaluso, infatti, sono i tratti distintivi di “Rosarubra”; “Rubik”, pur portando il nome dell’omonimo inventore ungherese del noto rompicapo a forma di cubo, richiama i tanghi di Piazzolla; e poi “Barcellona”, che ammicca ai ritmi di beguine.

Nel prosieguo della scaletta, poi, si incontrano altre molteplici suggestioni, tutte contraddistinte dalla medesima derivazione popolare. Melodie balcaniche, valse musette (“Rue du midi”) e chi più ne ha più ne metta, in un bel compendio di recupero sonoro della tradizione tsigana, attualizzata però da un personale approccio jazzistico e immersa in un immaginario fortemente cinematografico. In tutto questo caravanserraglio di influenze, non si deve però dimenticare che il vero plus dell’album è, manco a dirlo, il livello sublime dei musicisti. Non solo i membri fissi del trio, componenti di un amalgama perfetto, nel quale spiccano le qualità solistiche di Alessandro Di Virgilio, ma anche gli straordinari ospiti che compaiono tra i credits: l’eccezionale violinista Anaïs Drago; il percussionista Gilson Silveira; la fisarmonica di Roberto Cannillo e il vibrafono di Riccardo Conti, quest’ultimo forse unica concessione a timbri lontani dalla tradizione gitana vera e propria.

Insomma, “Decanter”, pur senza particolari intenzioni sperimentali o innovative, è un disco davvero molto bello. Composto ed eseguito in modo magistrale, denota un’ampia e affascinante ricchezza di sfumature. Ma d’altronde il curriculum degli Accordi Disaccordi parla da sé. I consensi raccolti in meno di un decennio in giro per tutto il pianeta sono il sintomo del livello superlativo raggiunto in poco tempo dal trio. Riempiono regolarmente i teatri in ogni parte del mondo (tra gli altri, Russia, Australia e Stati Uniti); da alcuni anni sono ospiti fissi di Umbria Jazz; nel 2019 sono stati inseriti dalla defunta Alitalia nella playlist che accompagnava decolli e atterraggi della propria flotta, e a inizio anno un loro brano è stato scelto da Walter Veltroni come sigla del suo docufilm su Fabrizio De André. Per questo ci aspettavamo grandi cose da questo album e l’attesa è stata pienamente ripagata.

Un ultimo plauso va alla bella copertina di Beppe Conti, la cui iconografia racconta meglio di tante parole la storia degli Accordi Disaccordi. Un mappamondo che sottolinea la portata globale del trio, attorno cui sono collocati simboli significativi di una musica che viene da lontano, soprattutto nel tempo, caratterizzata da autenticità e legami con la tradizione. Da sottolineare, in tutto questo, un emblema di modernità come il grattacielo, forse a ricordarci della metropoli per eccellenza, quella New York cui Woody Allen ha legato buona parte della sua filmografia e da cui gli Accordi hanno mutuato nome e percorso artistico.

Buon ascolto.

Ones

ones

Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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