OUTSIDE THE BORDERS – DISToo

Che le radici di “Outside The Borders” risiedano nel grunge lo dicono anche i credits. Di mix e mastering si è infatti occupato Jack Endino, figura seminale della scena di Seattle, artefice di alcuni capisaldi come “Bleach” dei Nirvana. Una prestigiosa collaborazione nata dall’esperienza americana di Andrea Luciano, voce e chitarra dei DISToo, che una quindicina d’anni fa fu parte di un progetto musicale di un certo peso negli States. Un’avventura che gli ha permesso di intessere una fitta rete di contatti, grazie ai quali si è infine potuti arrivare proprio a Endino. Noto per la ricerca dell’essenzialità, per il suono grezzo e “sporco”, mirato alla preservazione dell’autenticità esecutiva, il produttore e le sue idee sono considerate alle origini di un movimento che presto avrebbe cambiato il corso della storia del rock. 

Riferire la musica dei DISToo unicamente a quello specifico filone della musica americana anni Novanta, potrebbe però essere riduttivo. La pasta sonora del trio si rifà di certo all’estetica grunge, in particolare alle sue rivisitazioni “post”. Il suono scarno e impuro di certe distorsioni, gli arrangiamenti lineari che schivano i virtuosismi, la sostanziale mancanza di assoli, sono figli di un’imprescindibile attitudine punk. La stessa che, trent’anni fa, tornò per scardinare i suoni patinati degli Eighties.

Ma l’ispirazione non si traduce in emulazione fine a se stessa. Sebbene i Placebo sembrino, di primo acchito, dominare la scala delle influenze stilistiche, l’album si apre ovunque a diverse contaminazioni con territori attigui. Il brit pop di “Flowers” ne è un esempio lampante. Ma non è raro – e a ben vedere nemmeno troppo incoerente – captare numerosi richiami indistinti alla new wave. Non solo per alcune scelte timbriche e melodiche, che collocano il lavoro dei DISToo nell’ambito del revival di molte band contemporanee (si vedano ad esempio i White Lies). Ma anche per la specifica vocalità, che nell’alternanza dei solisti dietro ai microfoni, oscilla tra l’inflessione di Brian Molko (“In Between”) e le cadenze eteree di David Byrne (“Anyway”). 

In un siffatto contesto, decisamente strutturato e ben delineato, i DISToo non lesinano l’impegno nella ricerca di personalizzazione, riconducibile soprattutto all’atteggiamento neopsichedelico di molte tracce. Approccio che trova il suo apice in alcuni incisi lisergici che lambiscono territori noise, usurpano spazi strumentali e danno corpo a divagazioni ipnotiche e allucinate (“Breakdown” e “In Between”). O nelle strutture armoniche, ad esempio, di “Blue” e “Kind (of a) Song”, sviluppate su una scrittura ripetitiva, tendenzialmente monotonale e dissonante, dove l’uso marcato del delay contribuisce a ricreare un effetto trance in cui è facile venire fagocitati. Anche “Cure Me”, primo singolo estratto da “Outside the Borders” e cover anglofona di un classico dei CCCP, rappresenta un tributo significativo ai modelli stilistici della band. Esso appartiene indubbiamente al filone punk, ma cronologicamente è collocabile verso la metà degli anni Ottanta, in ritardo di un decennio circa rispetto agli omologhi britannici e quindi in piena epoca post-punk. Si rivela così efficace paradigma della vera direzione verso cui, più o meno scientemente, i DISToo guardano e nella quale innestano poi le loro digressioni visionarie, spostando le loro note effettivamente “fuori dai confini”.

Oltre che dal già citato Luciano, la formazione è composta dal bassista Federico Perotto e da Stefano Ricca, batterista pinerolese che da trent’anni calca i palchi del nostro territorio. Eclettico percussionista, nella sua carriera si è misurato con svariate forme espressive. Dal rock al folk, dal prog al blues, dalle cover a repertori originali. E sempre con risultati eccellenti. I tre sono amici fin dai tempi dell’Università e oggi finalmente i loro percorsi musicali trovano un punto di concreta convergenza.

I DISToo nascono in piena pandemia e lo rivela anche il nome prescelto. Oltre a calcare la mano sulle saturazioni che ne caratterizzano il suono, infatti, DISToo ci ricorda anche il distanziamento sociale imposto dalla recente emergenza sanitaria. Il divieto di contatto, la privazione degli abbracci, le mani che non si stringono più. Sono alcuni degli effetti perversi delle regole di contenimento del virus, che per un biennio hanno stroncato alla fonte la determinazione della nostra socialità, elemento imprescindibile per un sano sviluppo cognitivo ed emotivo. DISToo, dunque, è anche un gioco di parole che rimarca il desiderio di recuperare un certo spirito aggregativo, esorcizzando le paure nel nome di una normalità perduta. Perché negli ultimi due anni siamo stati davvero tutti molto distanti. Probabilmente… troppo!

Ones

ones

Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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