La breve parabola degli Area II°: intervista ad Aldo Mella

Era il 13 giugno 1979. Demetrio Stratos, una delle più belle voci del rock italiano di sempre, si spegneva in un ospedale di New York, stroncato da un collasso cardiocircolatorio. Stratos lega la sua fama in modo indissolubile agli Area, uno dei big five del rock progressivo italiano. Una band, per altro, difficilmente incasellabile in precise definizioni tassonomiche. Rock, avanguardia, sperimentazione, jazz, sfumature etniche erano ingredienti che si rimescolavano incessantemente nella loro musica. Ma se ci fu un elemento caratterizzante, che funse da collante per l’eterogeneità della loro specifica ricerca artistica, questo fu la voce di Stratos. Il suo timbro, la particolare ed eccelsa tecnica vocale e la sua personalità magnetica costituirono anche l’aspetto di maggior riconoscibilità dell’intera discografia del gruppo. Difficile, per questo, immaginarli senza di lui.

Eppure, quando morì, Stratos aveva già lasciato gli Area da alcuni mesi, mosso dall’interesse verso i suoi progetti solisti e la sua innovativa ricerca tecnica e formale. La band, però, non si sciolse subito e, per alcuni anni, continuò a regalare grande musica ai fan, sebbene attraverso un percorso differente rispetto a quanto fatto in precedenza, rinunciando di fatto quasi del tutto alle parti vocali. Già con l’album “Tic&Tac” del 1980, infatti, ci fu un’evidente virata verso la fusion, un jazz-rock quasi esclusivamente strumentale e meno avanguardistico, che evidenziò il nuovo percorso espressivo dei superstiti. Il disco fu una sorta di canto del cigno per la formazione di Giulio Capiozzo, Ares Tavolazzi e Patrizio Fariselli (a quel punto lo storico chitarrista Paolo Tofani non faceva già più parte della band), ma segnò di fatto l’inizio di una nuova stagione per gli Area.

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Negli anni Ottanta, a portare avanti il nome degli Area proprio nella direzione della fusion fu il batterista Giulio Capiozzo, già ideatore della band originale. Nella seconda metà del decennio, infatti, videro la luce gli Area II°, un gruppo per altro di breve durata, e con una formazione oggetto di frequenti cambiamenti, che ebbe comunque il tempo di realizzare due album: “Area II°” (1986) e “City Lights” (1987). La formazione del primo disco aveva una forte impronta piemontese, cui Pinerolo offrì un contributo fondamentale con due figure tra le più importanti della sua scena musicale. Oltre a Capiozzo, alla cantante Nadia Calearo e ad alcuni ospiti internazionali come Jimmy Owens (tromba) e Bruce Forman (chitarra elettrica), membri ufficiali della band furono infatti il tastierista cuneese Emanuele Ruffinengo – conosciuto in Italia soprattutto per la sua decennale collaborazione con i Pooh in qualità di produttore – il sassofonista Emanuele Cisi, ma soprattutto i pinerolesi Aldo Mella (basso) e il compianto chitarrista Andrea Allione

Per ricordare i tratti salienti di quella breve quanto fondamentale esperienza, abbiamo il piacere di avere ospite delle nostre pagine proprio Aldo Mella, con il quale ne abbiamo ripercorso le tappe principali.


Ciao Aldo, grazie per aver accettato il nostro invito. Qual era il contesto artistico in cui vi muovevate tu e Allione in quella metà degli anni Ottanta?

Il contesto era quello di una continua contaminazione tra rock e jazz. Sono gli anni in cui la fusion e il jazz-rock si sono conclamati in modo evidente. Noi seguivamo quella tendenza, pur mantenendo una predilezione per quello che era il jazz tradizionale. Eravamo molto affascinati da quel mondo: Weather Report, Yellowjackets, Spyro Gyra, gruppi che perseguivano quella strada e che per noi furono una grande ispirazione.

Ricordi i passaggi più importanti della genesi degli Area II°? Qual è stata l’occasione che vi ha messi in contatto con Giulio Capiozzo e vi ha condotti nella sua band?

È successo che Giulio Capiozzo ebbe, non ricordo in quale modo, il contatto del tastierista e arrangiatore Emanuele Ruffinengo. Emanuele vive in America da tantissimi anni ed è stato, tra le altre cose, il direttore del Mad Hatter Studio di Chick Corea. Si tratta di un personaggio che già allora aveva un po’ dell’enfant prodige. Da come ricordo, Capiozzo contattò Ruffinengo, con cui allora stavamo suonando io e Allione, e gli propose il progetto, chiedendogli se conosceva dei musicisti da poter coinvolgere. Lui fece i nostri nomi e avvenne tutto in una sera. Capiozzo partì da Cesenatico per Bra e da Bra lui ed Emanuele vennero a Cumiana in un locale, di cui non ricordo il nome, dove organizzammo da un giorno all’altro una jam session. Una jam a Cumiana con Capiozzo! Quella sera, in pratica, sono nati gli Area II°. Ricordo che io e Andrea passammo una notte a camminare per Pinerolo a domandarci se dovevamo fidarci di questa situazione, perché Capiozzo partì in quarta, parlando subito di dischi e di tour. In realtà sono cose che, seppur non proprio nelle modalità con cui Capiozzo ce le aveva descritte, si sono poi concretizzate davvero. Il gruppo partì. Facemmo qualche concerto, poi andammo a Vicenza a registrare il disco “Area II°”, il primo album. E di lì iniziò tutto: il disco, tanti concerti e anche alcune partecipazioni televisive, che all’epoca, anche con quel tipo di musica, erano ancora fattibili.

Tu e Andrea siete autori o coautori di quasi tutte le tracce dell’album. Quali furono i tratti salienti dell’aspetto compositivo del disco?

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Le composizioni erano le nostre perché eravamo quelli che scrivevano di più, i più prolifici. Giulio ha co-firmato dei pezzi, in particolare un paio di quelli di Andrea, i miei li ho firmati soltanto io tranne “Bridge to Jaipur” per il quale era stato fatto un testo in inglese da Carol Smith. La base di partenza era un testo già mezzo scritto da me e da Daniele Piccione, un carissimo amico di Pinerolo che non c’e più da tanti anni, e che lei terminò. Servivano dei brani, quelli che avevamo proposto potevano andare bene per quel tipo di repertorio, e furono infilati dentro. Nel disco poi c’è anche un pezzo di Bruce Forman (“Room 102”).

Come si conciliava un nome come Area II°, che richiamava i fasti di una band di rock progressivo e d’avanguardia, con un lavoro tendenzialmente virato verso la fusion e un approccio decisamente più jazzistico?

È una questione a cui in effetti siamo andati incontro più volte. Nella maggior parte dei concerti ci fu sempre un’aspettativa che rimandava agli Area e in alcuni casi avemmo anche qualche problema. Ci siamo trovati in molte situazioni in cui ci venivano chiesti “Luglio, Agosto, Settembre nero”, “La mela di Odessa” o altri classici della band precedente. A Giulio questo non andava molto, lui voleva proporre una versione diversa del gruppo. Anche perché dal vivo non facevamo solo brani originali ma anche cover, ad esempio, degli Steps Ahead ma non abbiamo mai suonato nulla degli Area precedenti.

La vostra collaborazione con Capiozzo fu piuttosto breve. Nel 1987 gli Area II° registrarono il loro secondo e ultimo album ma con una formazione completamente diversa, senza di voi. Quale fu il motivo di una così fugace avventura?

La risposta è molto semplice: una parte di noi non era più orientata nel proseguire l’esperienza, chi più chi meno. Andrea era proprio uno di quelli che si era impuntato maggiormente. Giulio era sempre un po’ confusionario. Metteva molta carne al fuoco, ma si aspettava che le idee arrivassero sempre dal di fuori. Così quando arrivammo in procinto di pensare addirittura a fare un secondo disco, ci fu un po’ di indecisione rispetto alla direzione artistica da prendere. Ma non fu assolutamente tutta colpa di Giulio. Anche tra di noi l’atmosfera non era più quella degli inizi. Probabilmente non avevamo più tanta voglia di suonare insieme. Fu un po’ come una relazione durata poco. All’inizio fu ovviamente tutto bello. Era tutto nuovo, soprattutto per noi. Un’esperienza che ci ha aperto molte strade, ci ha messo in luce. Avevamo degli articoli con la pagina centrale e la foto grossa su giornali come Ciao 2001. È stata un’esperienza davvero molto importante, per cui avremmo anche potuto bluffare sul fatto che non ci andavano certe cose, ma alla fine, per onestà intellettuale, optammo per una scelta di coerenza. Prendemmo la decisione una sera a casa di Emanuele Cisi, in Corso Vittorio. Eravamo io, Allione, Cisi e Ruffinengo e praticamente decidemmo tutti insieme di interrompere la collaborazione.

Cosa ha rappresentato per te l’esperienza negli Area II° e quali influenze ha avuto per il prosieguo della tua carriera musicale?

È sicuramente stata un’esperienza importante. Abbiamo suonato in situazioni dove non saremmo mai arrivati diversamente, sia io che Andrea, che Cisi. Ricordo, ad esempio, un concerto allo stadio di Novara con Banco e PFM. Cose che sarebbero state impensabili per noi senza gli Area II° e Capiozzo. Giulio era una persona non facile, un personaggio difficile, ma con lui ho avuto un bel rapporto, particolare. A differenza degli altri ho continuato a collaborare con lui, anche dopo gli Area, insieme anche a grandi musicisti come, ad esempio, il chitarrista milanese Gigi Cifarelli e in ambito più prettamente jazzistico. Ci ho viaggiato e dormito insieme e quello che mi ha insegnato all’epoca è una cosa che mi sono portato dietro e che ancora oggi ricordo con piacere. Ho voluto bene a Giulio. Per me in quel momento, avendo io perso il papà giovanissima età, era quasi come una figura paterna. E forse lui con me si è comportato come tale. Nonostante quindi sia durato poco, ricordo quel periodo con molto piacere, anche perché per me si è protratto qualcosa in più, grazie alle collaborazioni degli anni successivi.


Ringraziamo Aldo per averci riportati indietro nel tempo, a quella breve parabola artistica che lo vide coinvolto, assieme all’amico Andrea Allione, nella coda di una delle più importanti band italiane di sempre. Siccome gli album degli Area II° non si trovano sulle piattaforme di streaming, condividiamo due video su YouTube sufficientemente significativi di quella che fu la loro musica.

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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