NON È FORTUNA – Africa Unite

“Non è fortuna” è il titolo dell’ultimo album degli Africa Unite. Come il precedente “People Pie 2021“, anche questo nuovo lavoro esce in una data a forte valenza simbolica. L’11 maggio del 1981, infatti, moriva Bob Marley – ça va sans dire – una delle principali ispirazioni per la formazione di Bunna e Madaski. Pubblicare un disco in un giorno così evocativo significa fornirgli una connotazione di tributo. Ma, in realtà, l’anno della morte dell’artista giamaicano coincide anche con la nascita degli Africa stessi, ed è qui che le tessere del mosaico vanno al loro posto. Nell’album, infatti, c’è un evidente intento autocelebrativo, che guarda al percorso quarantennale della band, tra l’altro festeggiato proprio di recente in città. Basta ascoltare la title track, in cui gli Africa riflettono in merito alla propria storia artistica, sottolineando la consapevolezza che dietro di essa non c’è (soltanto) un fato propizio, ma una concomitanza di sacrificio, duro lavoro e imprescindibile coesione di idee.

non è fortuna africa unite copertina

La più o meno velata allusione a Marley si sviluppa, però, anche con il recupero di sonorità appartenenti al reggae più tradizionale. Dopo gli sperimentalismi di “In tempo reale”, in cui il levare si amalgamava a sonorità sinfoniche e cameristiche, si assiste qui a un chiaro ritorno alle origini. Anche gli stilemi dub, tra i più autentici marchi di fabbrica degli Africa e degli interventi produttivi di Madaski, sono sostanzialmente posti in secondo piano. Nasce così quello che risulta essere “il disco più reggae nella storia degli Africa Unite” (v. intervista su torino.corriere.it). Un’intenzione sottolineata dalla presenza di alcuni ospiti iconici, come David Hinds degli Steel Pulse (in “Non è fortuna”) o di Brinsley Forde degli Aswad (“Bilancio inutile”). Due band fondamentali per le direzioni stilistiche originarie degli Africa, ognuna a proprio modo devota a una certa classicità.

Fin dalla prima traccia, dunque, siamo immediatamente catapultati nel più tipico universo sonoro della reggae band pinerolese, in cui emergono le partiture dei fiati che colorano l’ascolto col consueto Africa-style. Ma sono soprattutto i contenuti a porsi in continuità con la storia pluridecennale del gruppo. Sono i messaggi di inclusività, di non violenza, di analisi sociale, che tracciano la rotta fin dagli esordi. Il nuovo album, in questo senso, non fa eccezione.

E se “7 secondi” è un’ermetica riflessione sul tema della morte, sul perenne confronto con essa e sulle battaglie per sconfiggerla, in cui è racchiusa l’essenza stessa dell’esistenza; e se “Non è fortuna” è la difesa di un percorso artistico, in cui si sottolinea la tenacia e la dedizione che hanno portato la band al successo; se, dunque, nelle prime due canzoni c’è una parziale deviazione dai tratti political-reggae di cui si è fatto cenno, in “Forty-One Bullets” si torna a parlare di giustizia sociale e di tematiche antirazziste. Già pubblicato come singolo nei primi mesi del 2021, la terza traccia prende spunto dall’omicidio di Amadou Diallo per mano della polizia di New York, avvenuto nel 1999. L’evento si fa qui emblema di una più generale e serpeggiante diffusione di pensieri e comportamenti discriminatori e violenti, da cui nessun angolo di mondo pare ormai essere esente e da cui è indispensabile prendere le distanze senza se e senza ma.

Tra i brani più riusciti, c’è poi “La grande truffa del millennio”. La canzone è un’attenta disquisizione sull’appiattimento culturale in cui progressivamente sta affondando il genere umano. Il pensiero critico si sta estinguendo e il prodotto artistico si fa metafora e archetipo di questo processo decadente. La riflessione prende probabilmente spunto dal film “La grande truffa del rock ‘n’ roll”, nel quale si smascherava l’intenzione commerciale celata dietro i movimenti controculturali – nella fattispecie, il punk – anche quelli apparentemente più di rottura. L’informazione e i consumi sono indotti da precise strategie di marketing, spesso mascherate da quella che Adorno chiamava pseudo-individualizzazione. Il risultato è l’incapacità degli individui di scegliere autonomamente, di crearsi una propria coscienza personale. Musica, opinioni, informazione, idee politiche. Ogni cosa è predigerita e livellata verso il basso.

Il pezzo è impreziosito dalla presenza di una guest star tutta pinerolese. Il giovane rapper Tito Sherpa, originario della Val Pellice – recentemente scoperto da Madaski, che ha anche mixato il suo ultimo album – mette la sua impronta nell’inciso, dove si sintetizzano le sue peculiarità. Da tempo, ormai, Sherpa ci ha abituati alla qualità eccelsa della sua scrittura. Una padronanza di linguaggio che gli permette di non scendere mai a compromessi tra forma e contenuto. Con le sue geometrie verbali, infatti, sbrana i cliché ed eleva il genere a un livello superiore. Il “pranzo impiattato, lo mangi impettito, ma il tuo appetito te l’hanno impiantato” racchiude il nocciolo interpretativo dell’autore e sintetizza le sue perfette costruzioni formali, per altro totalmente coerenti con l’Africa-pensiero. Tito Sherpa compare anche in “Amori scarichi”, che racconta come nell’amore vengano spesso messe a nudo le imperfezioni degli esseri umani. Il rapper si cimenta qui in dialetto piemontese, dominando la sua arte senza che si indebolisca nel passaggio di idioma.

Rispettando, dunque, i canoni espressivi che li hanno resi celebri, gli Africa hanno dato vita al loro quindicesimo episodio discografico in studio. Acuti osservatori della realtà, la raccontano ancora una volta attraverso tratti lirici inconfondibili. E lo fanno anche con le collaborazioni e i duetti, elementi che si collocano tra i plus del disco. Non solo celebrità del calibro di Hinds e Forde, o giovani talenti come Tito Sherpa. Si aggiungono allo stuolo di ospiti il redivivo Tonino Carotone, voce nella “Tuyo” di Rodrigo Amarante, già colonna sonora della serie “Narcos”; e il produttore anglo-italiano Gaudi, fondamentale mediatore tra gli Africa e Hinds, e artefice della versione dub della title track.

Insomma, dopo otto lustri di carriera gli Africa riescono ancora a incidere musica ispirata, autentica e passionale. “Non è fortuna” sottolinea anche questo aspetto. Il successo e la longevità dipendono, infatti, anche dalla credibilità dei messaggi trasmessi. Nei quattro decenni vissuti da protagonisti, si sono sempre schierati dalla medesima parte con una fedeltà totale alle proprie linee programmatiche e comportamentali. Fin dagli albori sono rimasti in prima linea nella lotta per l’uguaglianza, l’inclusione e la pace e nella ferma condanna di ogni forma di violenza e discriminazione. Ed è in questa coerenza, non nella fortuna, che va ricercato il segreto di un inesauribile successo.

Ones

Gli Africa di “Non è fortuna” sono:

Bunna: voce, basso
Madaski: programming, pianoforte, voce
Papa Nico: percussioni
Marco “Benz” Gentile: chitarre, violino
Marco “PaKKo” Catania: basso
Matteo “Mammolo” Mammoliti: batteria
Paolo “De Angelo” Parpaglione: sassofono
Luigi “Mr. T-Bone” De Gaspari – trombone
Gabriele “Pera” Peradotto: sassofono
Luigi “Giotto” Napolitano: tromba
Patrick “Kikke” Benifei: cori

Aggiungiamo infine che “Shame Down Babylon”, uscita come singolo nel 2013, vede Ale Soresini alla batteria e la pinerolese Elena Castagnoli (Joy) alla voce.

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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