UNO/TANTO RUMORE PER NULLA – Miky Bianco

Sono passati diciotto anni dalla pubblicazione del primo CD di Miky Bianco. Era il 2005, infatti, quando “Zero – Residui tossici” faceva la sua comparsa sugli scaffali dei negozi di dischi. Era una sorta di album-pilota – lo “zero” del titolo si riferiva proprio ai numeri di prova con cui serie tv o periodici editoriali testano in via preliminare le risposte del pubblico – che prometteva di aprire al chitarrista pinerolese le porte di una ricca produzione discografica. E invece quel lavoro rimase un episodio isolato. La vocazione primaria di Miky era già allora rivolta all’approfondimento delle potenzialità espressive della chitarra, così la sua storia professionale si incanalò verso l’ambito della didattica, per altro portandolo a diventare, nel corso del tempo, una personalità di altissimo profilo nel settore, con seguitissimi corsi, seminari e manuali specialistici (v. dettagli sul sito della Lizard di Vercelli).

miky bianco guitar chitarra

Zero – Residui tossici“, però, rivelava già uno smisurato talento compositivo e una tecnica fuori dal comune. Non nego che, allora, la musica di Miky mi apparve un po’ ampollosa e narcisistica, con quello stile dalle sporadiche sfaccettature magniloquenti e autoreferenziali. Ma, in realtà, un ascolto più attento avrebbe rivelato che i suoi mirabolanti virtuosismi non erano solo un’esibizione di bravura, ma nascondevano precisi percorsi di ricerca melodico-armonica, oltre che ritmica, di categoria superiore. Erano il dettaglio più caratterizzante del suo modo di suonare, quello che meglio esprimeva la sua personalità e che testimoniava lo specifico percorso artistico e formativo, fatto di un’applicazione allo studio quasi maniacale. Ma erano anche sperimentazioni di fraseggio che, senza tradire un gusto personale per la tecnica estrema, rifuggivano efficacemente i manierismi fini a se stessi, confluendo in costrutti magnetici ed eccitanti.

miky bianco uno tanto rumore per nulla

Dopo quasi due decenni da quel debutto, verso la fine del 2023, Miky Bianco è tornato con un nuovo disco dal titolo “Uno – Tanto rumore per nulla”. E diciamocelo subito: è un lavoro stellare! Non solo per la perfezione esecutiva dei suoi interpreti, che oggi possiamo anche dare per scontata. Ma soprattutto per le scelte compositive, per le soluzioni ritmico-melodiche sempre sorprendenti, per gli sguardi aperti e permeabili alle influenze più disparate, che ne fanno un piccolo gioiello di post-prog strumentale. Nove tracce dalle strutture complesse, che si configurano come altrettante poliedriche mini-suite, nelle quali trovano posto riff indiavolati, raffinatezze fusion, poliritmie e una generale inclinazione melodica che, talvolta, ammicca persino alla forma canzone.

A tal proposito, lo stesso Miky ha sottolineato di non essere indifferente al fascino della melodia, elemento che per lui rappresenta una sorta di alfabetizzazione musicale primaria. Molti temi, infatti, vengono introdotti da linee che, con poche eccezioni, si adagiano su intelaiature quasi pop. Ma non bisogna farsi ingannare da una certa immediatezza armonica, per altro solo apparente, perché gradualmente gli spartiti si sviluppano in un respiro sempre più ampio, dove continui aumenti e rilasci di tensione attestano un sublime lavoro programmatico di scrittura, denso di costanti mutamenti d’atmosfera che si incastrano con una naturalezza disarmante. Le partiture finiscono per scavallare le rigide categorizzazioni, accogliendo elementi che vanno dalla fusion al funk, dall’arena rock alla canzone d’autore, rispetto alla quale manca letteralmente solo la parola.

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Un po’ per questa apertura alla multiformità, ma anche per precisi stilemi di genere, a rappresentare la definizione tassonomica più prossima al mood dell’album è sicuramente la matrice progressiva. L’esempio più cristallino di questa appartenenza è rappresentato da “Il grande gelo” – la mia preferita, per distacco – edificata attorno a un susseguirsi continuo di riff di marca funk-metal, che insistono su una poliritimia in perenne evoluzione, arricchita dagli interventi delle tastiere che spaziano qui in una vasta gamma di coloriture. Si materializza così un articolato universo sonoro che rimanda al mondo di Steven Wilson e dei suoi omologhi, all’interno del quale trova coerente collocazione una ricca varietà espressiva fatta anche di respiro melodico e armonie più marcatamente jazz-rock. Ma sarebbe, comunque, sbagliato e poco efficace raccontare un disco prog, per di più strumentale, attraverso i dettagli delle singole composizioni. La complessità del genere impone, per definizione, di abbandonare le visioni parcellizzate. L’analisi deve passare per un indispensabile sguardo d’insieme. Perché le mille suggestioni che ne scaturiscono non trovano sistemazione definita e compartimentata, ma si ibridano in nuove forme che, se da un lato rimandano esplicitamente alle proprie origini, dall’altro si involano verso inattese e indefinibili dimensioni.

Insomma, “Uno – Tanto rumore per nulla” è indubbiamente un disco da guitar-hero. La chitarra ne è la star assoluta e non potrebbe essere altrimenti. Miky Bianco ha costruito negli anni un rapporto simbiotico con la sei corde. È diventata quasi una propaggine fisica ed emozionale della sua personalità, al punto di essere in grado di surrogare con essa il ruolo normalmente demandato alla voce; creando, cioè, un contatto diretto con la sua interiorità attraverso il profondo lirismo insito nel potere stesso delle sue dita. Ma l’eccellente risultato estetico deriva anche dallo straordinario team che ha costruito attorno a sé e dalle interazioni che ne estrinsecano le pulsioni. La sezione ritmica – Eddy Franco e Roberto Testa alla batteria, Simone Rubinato e Ferruccio Battaglino al basso – segue incessantemente, con la disinvoltura e la versatilità dei mostri sacri, le acrobazie performative del bandleader e i repentini cambi di atmosfera imposti dal suo multiforme ecosistema creativo. L’imprescindibile tastierista Angelo Dalmasso, invece, cuce insieme gli scampoli del vestito sonoro grazie a un illimitato gusto timbrico. In questo disco si fa presenza fondamentale per il suo apporto fondamentale agli arrangiamenti, che poi reinterpreta magistralmente da esecutore discreto quando serve e debordante quando ne ha l’opportunità.

Un disco top, il cui “rumore” non è certamente stato generato invano come il titolo preconizza. Salvo che il nulla a cui si riferisce riguardi l’incapacità conclamata dei nostri tempi di lasciarsi rapire dalla musica, specie quando essa richiede una fruizione profonda e concentrata. Allora, in questo caso, potrebbe essere metafora di un rassegnato grido nel deserto. Ormai assuefatti all’ascolto superficiale e a un consumo culturale disattento, infatti, rischiamo di far cadere nel vuoto lavori come questi, dietro ai quali c’è sempre un pensiero strutturato e anni di appassionata applicazione.

Ones

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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