Luca Frencia, l’anticonformista del liscio

Quando si parla di musica da ballo a Pinerolo e dintorni, il primo nome che viene in mente è probabilmente quello di Luca Frencia. Da più di tre decenni, il cantante e fisarmonicista bargese porta in giro per la Penisola la sua musica, facendo ballare migliaia di persone ogni anno e a ogni latitudine. Eppure, come ci ha raccontato lo stesso Frencia, il suo approccio a quello che più comunemente viene chiamato “liscio” è sempre stato tutt’altro che ortodosso. Dotato di un deciso spirito imprenditoriale, ha sempre manifestato chiarezza di idee e determinazione fuori dal comune. Un percorso che, forse complice la sua formazione classica, forse il suo amore per certe frange “dure” della musica popular, come l’heavy metal, forse per una componente meramente caratteriale, è sempre stato in equilibrio tra le necessità tradizionali della professione e il desiderio di sfuggire ai dogmi, in ossequio a una propria personale esigenza espressiva.

Nel 1990 Luca Frencia era poco più che maggiorenne. Eppure, ai tempi, insieme a un gruppo di coetanei, aveva già avviato una fiorente attività orchestrale semi-professionistica che, a dispetto della giovane età, gli aveva permesso di calcare con successo palchi in tutta Italia. Molti furono i consensi raccolti e i premi conseguiti nel settore, affermazioni che imposero il suo nome all’attenzione di media e addetti ai lavori. Nel numero uscito a settembre del medesimo anno, il periodico pinerolese L’Eco Mese dedicava all’enfant prodige del liscio e ai suoi compagni di viaggio – che si facevano chiamare Luca e i Nobili – un articolo che glorificava questi loro esordi. Insieme a Frencia suonavano Daniele Barra (batteria), Giuliana Alberto (sax), Liliana Barotto (clarinetto e sax) e Roberto Marconetto (tastiere), che oggi hanno sostanzialmente abbandonato la musica attiva. L’elemento che accomunava i cinque ragazzi, tutti provenienti dal circondario dell’alta provincia cuneese, era il loro insegnante. Erano infatti allievi del noto Maestro Franco Polidori, grande fisarmonicista e fondatore della prestigiosa Fisorchestra, poi scomparso nel 2021.

A distanza di trent’anni abbiamo ripreso quel servizio e ne abbiamo fatto occasione per approfondire il percorso del fisarmonicista bargese. Un percorso che continua tuttora e che risulta costantemente caratterizzato dalla ricerca di nuove strade da esplorare. In questi tre decenni è cambiato il mondo. È cambiata la musica, le abitudini delle persone, comprese le modalità con cui esse si divertono. Giocoforza, anche i musicisti hanno dovuto adeguarsi. Luca Frencia non è stato esente dalle metamorfosi imposte dalla Storia, ma non si è mai piegato passivamente alle richieste del mercato. Ha sempre perseguito invece l’obiettivo di una più completa espressività personale, anticipando, laddove possibile, le tendenze del momento. Oggi la sua orchestra, ad esempio, sta lavorando per realizzare uno spettacolo incentrato prevalentemente sull’esecuzione – per altro, di altissimo livello – di classici pop e cantautoriali, con una marcata matrice funk che ne tradisce le inclinazioni. È possibile gustare qualche assaggio di questa nuova direzione artistica sul suo canale YouTube. Nel tempo, poi, ha allargato sempre di più il campo di applicazione della sua professionalità. Ha aperto un suo studio di registrazione, disponibile non solo per realizzare i suoi lavori, ma anche per tutti i musicisti e le formazioni che desiderassero avvalersi della sua esperienza; ha fondato una sua etichetta discografica, la Fraghola, e le edizioni musicali Fraghola Entertainment.

Di seguito trascriviamo la bella chiacchierata che abbiamo intrattenuto con Luca, durante la quale ci ha raccontato i suoi esordi, la sua storia musicale e i progetti a cui sta lavorando al momento. A seguire, la versione integrale del citato articolo dell’Eco Mese in cui si parlava di un giovanissimo musicista e della sua già affermata orchestra da ballo.

Ones.


Ciao Luca, grazie per aver accettato il nostro invito. Il dato più sorprendente della tua biografia professionale risale agli inizi della tua storia. Eri giovanissimo quando ti sei avvicinato al mondo della musica da ballo e delle orchestre di liscio. Com’è nata questa passione – se vogliamo – anche un po’ inconsueta per un adolescente degli anni Ottanta?

Ho cominciato a suonare la fisarmonica a cinque anni perché mio papà era un grande appassionato di musica. Conosceva il maestro Franco Polidori e mi fece provare con luiLa cosa mi piacque. L’insegnante, poi, diceva che avevo buone qualità, così proseguii. Gli inizi, in realtà, furono nell’ambito della musica classica. Vinsi anche dei premi. Ma a 14 anni, tramite conoscenze familiari, entrai in contatto con un ragazzo di Envie che suonava le tastiere e che cercava un fisarmonicista per un’orchestrina che stava mettendo in piedi. Avevo sempre voluto far parte di un gruppo, ma dalle mie parti, alla Crocera di Barge, non c’erano molti ragazzi che suonavano. Da tempo desideravo mettere su una band. Pensa che già intorno ai 9/10 anni scrivevo dei pezzi miei. Certo, con dei limiti, ma avevo già in testa quel percorso. Così l’idea di provare con questa orchestra mi solleticò subito. Non avevo mai suonato liscio. All’epoca ascoltavo gli AC/DC, gli Anthrax, in generale l’heavy metal. Ma decisi lo stesso di provare e ne fui contento. Andai avanti per un paio d’anni, da maggio ’86 fino al 1988, con quella che inizialmente si chiamava La Giovine Orchestra e che, su suggerimento di Polidori che ci seguiva allora, divenne poi I Nobili Liscio Piemonte Folk.

Poi cosa successe?

La situazione mi soddisfaceva, ma avevo delle idee che volevo concretizzare in maniera differente. Avevo voglia di fare le cose di testa mia, di decidere cosa fare e come. Proposi l’idea dei miei cambiamenti al resto del gruppo ma, alla fine, con me ne rimase solo uno. Cominciai a cercare nuovi musicisti e nel 1986 diventammo Luca e i Nobili, nome poi abbandonato nel 1990 con il più immediato Orchestra Luca Frencia, come proposto dal mio primo manager Sandro Riboldazzi. Di lì partì l’avventura. 

Credo che chi non ha mai suonato in un’orchestra non abbia veramente idea dei sacrifici e della fatica che stanno dietro a questa attività. A maggior ragione per chi, come te, ha cominciato giovanissimo, diventando capo-orchestra addirittura a sedici anni. Cosa significa la tua professione in termini di dedizione e impegno?

Cominciai quasi subito a girare molto, anche fuori regione. All’epoca, però, studiavo ancora. Si finiva tardi, anche alle due di notte, domeniche comprese. A volte tornavo a casa alle cinque del mattino, dormivo vestito, mi alzavo alle sette per andare a scuola. Capitava anche di addormentarmi a lezione! In effetti, i sacrifici erano molti. Partire col furgone, montare, fare i suoni, mangiare un panino nel camerino, freddo, piccolo. Non era così entusiasmante, anche se all’epoca la gente andava molto a ballare e si faceva sempre il pienone. Poi, finita la serata, c’era da smontare e tornare a casa. Si arrivava alle quattro o alle cinque, quando addirittura non alle sei. Giravamo l’Italia. Quando si andava, ad esempio, a Terni, si tornava alle dieci del mattino. Da Portogruaro si tornava tardissimo, non si andava nemmeno a dormire. A un certo punto cominciai a viaggiare sul pullman con autista. In quel caso le trasferte erano un po’ più agevoli, ma il tragitto rimaneva comunque lungo. Le serate erano eterne. Si suonava anche per quattro o cinque ore di fila.

E poi c’è la parte che la gente non vede, quella manageriale: preparare il repertorio, fare le prove, scrivere i pezzi, cercare il lavoro. Avevo a che fare con molti impresari perché c’era bisogno di un calendario il più fitto possibile. All’epoca, quasi tutti i ragazzi che suonavano con me erano stipendiati. Avevano un contratto con il quale io garantivo loro dieci, dodici, anche quindici serate al mese. Si facevano contratti sulla base delle loro richieste e di quanto tenevi ad averli con te. Anche perché c’erano molti movimenti tra le orchestre, ci si “rubava” gli elementi migliori per riuscire a suonare meglio e a proporre un prodotto più professionale. In ogni caso, avevo la responsabilità di persone che avevano famiglia, cui dovevo garantire una retribuzione adeguata. Un’incombenza enorme per un ragazzo di vent’anni.

In questi trent’anni è cambiato il mondo, è cambiata la musica, il pubblico e i suoi gusti. E sicuramente sono mutate anche le esigenze organizzative. Come si è evoluto il tuo lavoro da quando hai iniziato? Come ti sei adeguato ai tempi?

La musica è arte e l’arte è espressione della vita e degli uomini. Inevitabile che ne rifletta i cambiamenti. A mio avviso, in questi termini, c’è stato un notevole degrado. Sono cambiate le esigenze, ma con criteri sbagliati. Una volta si suonavano valzer, mazurche, polche, tanghi, beguine e valzer lenti. Poi si faceva un foxtrot, un cha cha e un boogie. E si girava attorno a questi generi, a cui si aggiungeva qualche canzone popolare. Poi è arrivato il latino-americano (menehito, merengue) e successivamente la cumbia. Poi abbiamo cominciato a fare brani più recenti e canzoni pop, che hanno portato molte orchestre, intorno alla metà degli anni Novanta, a introdurre le basi nei loro spettacoli. Questo era penalizzante per chi, come noi, continuava a suonare completamente dal vivo. Perché divenne necessario non solo avere un impianto di alto livello, ma anche faticare cinque volte tanto per fare suoni che reggessero il confronto con le basi.

Oggi ho abbandonato il liscio. Sto allestendo uno spettacolo in ambito pop, attualmente ancora “in progress”, che doveva partire nel 2020, ma che il Covid ha bloccato sul nascere. Negli anni mi sono sempre più appassionato al funk, al rhythm and blues, alla soul music e questo ha inciso sulla nuova veste che mi sono cucito addosso. Si tratta di uno show con repertorio di musica leggera, dagli anni Settanta fino agli anni Duemila. Per intenderci, dal tardo Morandi e Baglioni, fino a interpreti più recenti come Giorgia o Elisa. L’intenzione è quella di arrivare a una fetta di pubblico un po’ dimenticata, quella che va dai 35 ai 55 anni. La scaletta è prevalentemente italiana, con poche eccezioni: un medley degli Abba, un pezzo di Tina Turner, qualche colonna sonora nota e altri brani famosi come “Jump” dei Van Halen. In mezzo, poi, metterò qualche pezzo mio, ma non più di quattro o cinque. 

Non si tratta di un progetto facile. Il mio nome è legato alla musica da ballo e la gente non si aspetta da me uno spettacolo così diverso. Anche se, va detto, che la mia nomea è sempre stata quella di un musicista non particolarmente ortodosso. Già nel 1995 sui balli a palchetto suonavo la disco music. Nel 97 provai addirittura a fare uno switch: Orchestra Luca Frencia col liscio e Luca Frencia Euphoria Band, con cui portavo in birreria la disco degli anni Settanta. Ora proviamo con questo nuovo progetto, che punta tutto sull’aspetto emozionale: far fare all’ascoltatore un tuffo nel suo passato attraverso la riproposizione di brani che ne rappresentano la colonna sonora. 

Scegli alcuni momenti di maggior soddisfazione di questi trent’anni…

Due i momenti che ricordo come i più gratificanti. Il primo risale al 2009, quando potei seguire la fase finale del concorso canoro nazionale “Vivere la musica” al Palazzo dei Congressi di Stresa. Mi occupai non solo della Direzione Tecnica, ma diressi anche l’orchestra, composta di 23 elementi, curando l’arrangiamento di tutte le canzoni in gara. L’esperienza si ripetè anche l’anno successivo al Teatro Coccia di Novara. Il secondo invece è del 2016 quando, in concomitanza con il Festival di Sanremo, ci esibimmo tutta la settimana al Roof Garden del Casinò della città ligure. Un ambiente totalmente diverso da quelli a cui eravamo abituati. Puntammo su un repertorio di musica d’ascolto, tra jazz classico e musica leggera. La cosa piacque così tanto che venimmo scritturati anche per il veglione organizzato dal Casinò per il successivo Capodanno. 

E della tua attività da autore cosa mi dici? Le tue canzoni sono pensate per il contesto della musica da ballo o talvolta ti capita di adottare approcci stilistici differenti?

Non ho inciso molti dischi di inediti, sei o sette in tutto. Non ho, dunque, scritto tanti brani. Tendenzialmente mi occupo della musica. Avrò scritto al massimo due o tre testi in tutta la mia vita. Per le parole delle mie canzoni collaboro da una quindicina d’anni con Marco Amerio – del duo comico Marco e Mauro – con il quale c’è grande sintonia. Per quanto riguarda l’aspetto stilistico, va detto che il mio mercato è sempre stato quello della musica da ballo. Dovevo per forza scrivere canzoni che andassero bene per quell’ambito, anche se, in verità, la mia propensione è sempre stata più verso il pop. Così, all’interno di ogni disco, in mezzo a una prevalenza di canzoni da ballare, c’è sempre stato almeno un pezzo che non c’entrava niente con tutto il resto. Come una sorta di firma! 

Non ti sei mai sentito ingabbiato dall’ambito professionale della musica da ballo? Sei completamente soddisfatto di quello che sei riuscito a fare da un punto di vista artistico o hai dovuto rinunciare a qualcosa?

Le cose che volevo fare le ho comunque fatte. Magari più in sordina, ma mi sono sempre imposto per essere me stesso e fare le cose che mi piacciono. Questo mi ha anche un po’ penalizzato, ma sono una testa dura ed è difficile che ascolti i consigli altrui. 

Oltre al progetto di cui ci hai parlato, a cos’altro stai lavorando in questo periodo?

Arrivo da un’importante collaborazione con Pietro Galassi, nome top nell’ambito delle orchestre da ballo a livello nazionale. Con lui ho pubblicato un brano a tema “post-covid” che si chiama “Balliamo”, uscito nel 2022 e accompagnato anche da un bel videoclip. Inoltre sto scrivendo nuove canzoni. A breve uscirà un pezzo realizzato circa un anno fa, anche questo con video, che si chiama “Meglio un caffè”, canzone che scherza ironicamente sul tema dell’invecchiamento e del tempo che passa. 

La fisarmonica la suoni ancora?

La fisarmonica la utilizzo ancora regolarmente per le registrazioni nel mio studio. E anche dal vivo, quando eseguo pezzi miei, cerco sempre di mettercela. “Solo per voi”, ad esempio, è un pezzo stile “Gotan Project” dove la fisarmonica è fondamentale. Poi ho dei progetti importanti legati allo strumento, ma dei quali, per ora, non posso anticipare nulla.


Ringraziamo Luca Frencia per aver accettato il nostro invito a raccontarci i dettagli della sua storia artistica. Ricordiamo che è possibile contattare Luca attraverso i suoi social, in particolare tramite la sua pagina Facebook. Potete, inoltre, approfondire l’attività della sua etichetta cliccando sui link  https://www.facebook.com/fragholaentertainment/ e https://www.youtube.com/channel/UCrHlKESuWNQAxMwTMRvRQZQ. Di seguito, invece, il collegamento diretto al suo canale YouTube e la versione integrale del citato articolo dell’Eco Mese, comparso nell’ormai lontano 1990.

Dall’Eco Mese, numero di Agosto/Settembre 1990Per gentile concessione di ecodelchisone.it

luca frencia eco mese
ones

Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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