Cantine pinerolesi

Foto di copertina: Whitefire live in Orbassano (1986)

Pinerolo tra la fine dei 70 e gli 80 era una città diversa da quella attuale. Sotto molteplici aspetti. Politicamente era un feudo democristiano. Socialmente era meno multietnica, ed era ancora suddivisa in quartieri facili e difficili. Il nostro bel salotto del Duomo era in un’area tra le meno facili, quelle dove, da ragazzino, si passava per le strade di corsa per non finire nei guai. Perlomeno se eri un “forestiero”, di altri quartieri. Non ho un bel ricordo della mia vita tra i 7 e i 12 anni. Ma dai 12 la musica arrivò come un’onda di piena e stravolse tutto. Comprese le paure e i confini dei quartieri. Arrivò sulle note di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, acquistato sotto i portici nuovi da Bonetto quasi al compiersi del mio dodicesimo anno di vita e si fermò addosso. Per non andare più via.

whitefire live in Orbassano
Whitefire live in Orbassano

Ecco, amici: questo può sembrare semplicemente il racconto di una esperienza personale, qualcosa di soggettivo, individuale. E in parte sicuramente è così, in quanto ciascuno di noi ha la propria personale Storia di vita. Ma in questo caso e in quegli anni quell’onda di piena chiamata musica colpì nel mucchio la massa della popolazione pinerolese giovanile. Prese in pieno centinaia di ragazzini pre adolescenti e se li trascinò appresso per la vita a seguire. E fu così che a fine anni 70 Pinerolo divenne un immenso vivaio di artisti. E la stessa topografia cittadina ne risentì: i quartieri in breve tempo non si distinsero più in sicuri o meno, ma si suddivisero in zone prettamente influenzate da questa o quella band che in qualche scantinato della zona provava. Le band come fulcri intorno a cui ruotavano le compagnie di amici, sostenitori, fidanzate…

Tu camminavi per la città e, come disse tempo fa Nicola Fainelli, da quasi ogni seminterrato usciva musica. E così, passeggiando, inciampavi sulle note dei Kroon che piovevano fuori dal sottoscala della Parrocchia di Fatima. Poi incrociavi il rock degli gli Age che, come già i Moondogs nel 76, lasciavano scivolare rock sulla città lungo le strade della collina di San Maurizio. Dalle bocche di lupo delle cantine dell’Inail esplodeva fuori la musica progressive degli Esdra. E poi fuori, in periferia, nelle aule dei salesiani si faceva un punk ancora tenue eppure già scapestrato con gli 80fame, con le Ceneri. E poi ancora da garage, magazzini per attrezzi, cantine, corridoi di parrocchie ed oratori usciva il fiume della creatività pinerolese: Audio, Vieta, Anonima 77, Half Moon, Whitefire, Mono Tono, Ars, Affittasi Cantina, Anatema, le band di Lucio Cassinelli, dei fratelli Beccaria, la stessa mia prima ciondolante band da cantautore.

E poi ancora i primi, primissimi Africa, e l’aria delle sere estive intorno a piazza Banfi sapeva un po’ di Giamaica. E se passeggiando mettevi i piedi appena fuori città ti si inzuppavano le scarpe in un torrente di musica che rotolava giù dalla val Pellice e dalla val Sangone: Delinkuere, Pecore Nere, Sesto Senso, Nuova Equipe, Perroquet, Douglas Docker, Gerardo Cardinale… Era tutta una musica la nostra città. Nella comunità dei giovani c’era un impulso irrefrenabile a creare, a scrivere musica, quasi un bisogno di suonare e cantare cose che uscivano da dentro e si riversavano su quaderni e fogli stropicciati. C’era fame di inventarla la nostra dannata musica in quegli anni. Non c’era alternativa, fare i brani di qualcun altro certo, lo si era fatto tutti ma alla fine non soddisfaceva nessuno e allora si scriveva. Bene e male.

E ogni mese gli Auditorium di via Piave e dello Scientifico avevano interi week-end di esibizioni in cartellone, con le poltrone sempre piene. Eh si, perché la musica non la fa solo chi suona ma anche chi va ad ascoltare. E in quella Pinerolo ogni ragazzo della città non si perdeva un concerto. Era un bello scorrere quell’acqua. È andata, con gli anni, perdendo il suo slancio primordiale. Un po’ impantanata come un fiume che ha raggiunto la pianura, privo della forza che a monte gli permetteva di scavare la pietra. Eppure camminando per la città ogni tanto vi capiterà di scorgere dei 50/60enni passarvi accanto con le code o le frange dei capelli bagnate: sono i ragazzi di quei tempi là. E l’acqua di quella piena la portano ancora addosso. E continuano a creare nuova musica. E se le cantine potessero parlare vi racconterebbero la storia di uno dei più bei momenti culturali di questa nostra dannata, bellissima città.

Roby Salvai, il Notambulo.

Roby Salvai

Pinerolese. Musicista da 50 anni. Guida professionista in Africa per quasi due decenni. Scrittore per Effatà Torino, Polaris Firenze, Mucchi Modena, Prospettiva Editrice Roma. Ha collaborato con Edt Lonely Planet.

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