CITTÀ NUOVA – Stefano Giaccone

Non si può parlare di “Città nuova” senza adottare una solida, anche se giocoforza sommaria, prospettiva storica. Dietro la realizzazione di questo CD si cela un nutrito gruppo di musicisti, molti dei quali legati alla storia del punk italiano o, più in generale, ai movimenti culturali antagonisti, che si sono riuniti attorno alla personalità artistica di Stefano Giaccone. Chi ha abbastanza memoria, e un’età sufficiente da aver vissuto la scena torinese dei primi anni Ottanta, non avrà bisogno di spiegazioni a tal proposito. Per gli altri, va rammentato che Stefano Giaccone è stato fondatore e membro stabile – oltre che superbo sassofonista e voce all’occorrenza – dei Franti, formazione fondamentale del post-punk nazionale, spesso inspiegabilmente dimenticata anche dai molti articoli retrospettivi sul genere. L’intenso afflato poetico, la totale apertura alle contaminazioni, la libertà espressiva sostanzialmente senza limiti, rendono la loro discografia una tra le più affascinanti della storia musicale italiana, un percorso in cui le influenze seminali di new wave e punk si arricchiscono di jazz, poesia, tessiture proto-noise e rock progressivo, non di rado ammiccante alle forme avanguardistiche del “Rock In Opposition”.

città nuova stefano giaccone

L’importanza dei Franti nella storia del nostro rock nazionale non si limita però soltanto all’ambito artistico. I testi visionari e la voce intrisa di magia di Lalli (Marinella Ollino) sono certamente tra gli elementi distintivi della loro musica. Ma oggi li dobbiamo ricordare anche – o, addirittura, soprattutto – per le battaglie ideologiche. Anarchici e antifascisti, animati dal rifiuto delle gerarchie e delle istituzioni, promotori di una totale autogestione culturale e sociale, paladini della lotta alle disuguaglianze, la loro campagna simbolo rimane quella contro la SIAE e contro la discutibile normativa italiana sul diritto d’autore, dalla quale hanno sempre preso le distanze, abbracciando una logica creativa e distributiva sganciata dalle consuete logiche di mercato. Va in quella direzione, ad esempio, l’iniziativa di Massimo D’Ambrosio e Vanni Picciuolo, membri storici dei Franti, confluita nella realizzazione del sito Internet magazzinifranti.it, dov’è possibile ascoltare, scaricare e riutilizzare liberamente tutto il materiale musicale e documentale disponibile, purché “all’esterno di qualsiasi logica di profitto”.

Un salto di quasi quarant’anni ci separa oggi da quell’epoca d’oro. La band che portava il nome dello studente ribelle del Libro Cuore, infatti, concluse la sua attività nel 1987. Ma quella libertà espressiva e quella precisa collocazione ideologica non sono terminate con la fine dei Franti. Molte delle individualità confluite in quel movimento continuano tutt’ora a perpetuarne i principi fondanti. Stefano Giaccone è uno di questi e il suo ultimo lavoro – “Città nuova”, per l’appunto – presenta molteplici parallelismi con il pensiero intellettuale e politico di allora. A partire dall’idea di collettivo. L’album esce a nome suo, almeno così ci dice il display del lettore CD. Sua è la direzione artistica. E buona parte dei pezzi in scaletta, vecchi o nuovi che siano, in qualche modo si rifanno alla sua storia autoriale. Ma, di fatto, “Città nuova” è un’opera corale, in cui sono confluite in modo paritario le esperienze di molte figure determinanti per la storia della musica italiana antagonista degli ultimi trent’anni. Una quindicina di musicisti, quasi tutti accomunati dall’appartenenza all’ambito controculturale, che hanno costruito un ponte identitario tra diverse aree geografiche, da Aosta alla Sardegna. Non solo Giaccone e Lalli dei Franti – più Stefano Risso e Matteo Castellan, tra gli attuali collaboratori della cantante astigiana – ma anche una parte dei valdostani Kina; il duo elettronico d’avanguardia sardo d’ispirazione anarchica Brigata Stirner; Gianluca Della Torca dei Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo; e anche il bassista Guido Rossetti, che nella prima metà degli Anni Novanta fu membro dei Delinkuere, tra le formazioni di punta del movimento punk pinerolese.

Il conglomerato di personalità dal background così variegato non poteva che dare vita a un lavoro poliedrico, nel quale tornano a confluire una moltitudine di espressioni artistiche. Il punk certamente, ma anche sfumature jazz, noise ed elettronica, poesia, teatro, racconti e testimonianze, espresse nella forma dello spoken word. Al di là delle considerazioni puramente stilistiche, però, ciò che connette “Città nuova” al passato dei suoi interpreti, ça va sans dire, è il sostrato ideologico. Si respira aria di lotte operaie, di difesa dei diritti, di antimilitarismo, di cooperativismo, di solidarietà, di Resistenza in senso lato. Ci vorrebbe un libro intero per sondare tutti i riferimenti culturali e politici di cui è disseminato questo album. Come la rivisitazione di uno dei classici dei Franti, “Il battito del cuore”, costruito su un testo di Linton Kwesi Johnson, poeta giamaicano pioniere del dub, che proprio dello spoken word ha fatto una potente arma rivoluzionaria. Oppure “La nostalgia e la memoria”, poesia del militante Sante Notarnicola, presa a emblema della “lotta di liberazione dal lavoro coatto, dalla famiglia patriarcale, dall’educazione borghese” (dal libretto di “Città nuova”).

Si percepisce forte il desiderio di coniugare al presente l’intensità delle lotte di un tempo. L’alternanza di canzoni inedite e rielaborazione di pezzi del passato metaforizza pienamente il concetto. Ma questo sguardo all’indietro rifugge il clima da rievocazioni storiche – per dirla con le parole di Giaccone, da “adunata di ex alpini” – perché è cementata la consapevolezza dell’assoluta attualità del messaggio, dell’aderenza storica dell’oggi alle medesime inquietudini di tanti decenni fa. È rimasta la combattività di quella stagione, la voglia di cambiare le cose, la rabbia per un destino che appare ineluttabile e segnato da decisioni prese per noi da chi tira le fila delle sorti umane. Soprattutto, c’è la determinazione nel voler smuovere le coscienze, spazzare via l’ignavia della società contemporanea, che si fa complice omertosa di un mondo avviato all’autodistruzione. Emblematiche, in questo senso, sono le “strade malate di silenzio” citate in “Deve accadere”, ripescata dal repertorio della Banda di Tirofisso, altro sodalizio cui è collegata la storia decennale di Stefano Giaccone.

“Città nuova” è dunque l’utopia a cui tendere, secondo una visione ugualitaria dell’esistenza. Una resistenza nei confronti del potere che schiaccia i diritti, che, nel nome del profitto a tutti i costi, passa sopra gli individui come un rullo compressore. Che si palesi con una guerra, con lo sfruttamento della forza lavoro, con una politica clientelare che amplifica le disuguaglianze, sempre dello stesso cancro si sta parlando. Simbolo di questa denuncia è certamente “La tua storia”, atto di accusa verso la piaga di quelle che impropriamente vengono definite ‘morti bianche’. Perché di lavoro si continua a morire nell’indifferenza generale. E sappiamo bene che le cause sono quasi sempre riconducibili alla visione budget-centrica delle aziende che, nel nome di una crescita infinita del conto economico, allentano le misure di sicurezza e aumentano i carichi di lavoro oltre il sostenibile. Toccante l’inciso nel quale il dramma viene ricordato dalla viva voce di Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto alla tragedia della ThyseenKrupp del 2007, già raccontato mediaticamente dal film ThyssenKrupp Blues, nel quale era stata chiarita definitivamente la dinamica perversa che soggiace al moderno sistema produttivo.

“Un atto d’amore”, lo definisce Giaccone. Un concentrato di parole e musica che rinnovano l’impegno sociale di un tempo, da sempre parte integrante della storia personale di chi lo ha ideato e di chi ha contribuito a realizzarlo. Una connessione tra passato e presente ben condensata anche nel booklet di “Città nuova”, che perpetua la tradizione delle inlay card delle audiocassette, con cui negli anni Ottanta e Novanta le band diffondevano la propria musica. Certo, i software contemporanei offrono possibilità immaginifiche più accattivanti rispetto alle grafiche ciclostilate di un tempo. Ma l’esempio che abbiamo di fronte certifica, anche nei giorni nostri, il ruolo essenziale e complementare del “libretto” quale spazio deputato alla definizione concettuale del contenuto musicale. Un documento che racchiude manifesti programmatici ed esegetici fondamentali. Anche la sua lettura, dunque, contribuirà a un balzo temporale, un ritorno – non nostalgico, ma quale fonte di ispirazione – ai tempi e agli spazi in cui fare musica significava soprattutto veicolare dei messaggi, stimolare le riflessioni e battersi per un mondo migliore. Cose di cui abbiamo un gran bisogno anche oggi.

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Parte integrante della nostra narrazione è l’articolo di Guido Rossetti, che ha raccontato “Città nuova” da una prospettiva “interna”, avendo preso parte in prima persona alla realizzazione dell’album.

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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