Dal Tony Mills Festival, la “tecnocrazia mistica” dei Docker’s Guild

Il Tony Mills Festival è stato un evento carico di una magia del tutto particolare. Nato con finalità benefiche – fornire un aiuto concreto a Tony Mills, e alla sua famiglia, per affrontare la malattia che l’aveva colpito alcuni mesi fa, e raccogliere fondi a sostegno della ricerca sul cancro – si è trasformato soprattutto in una celebrazione della storia artistica del cantante britannico. Il male contro cui combatteva lo ha, infine, sconfitto a pochi giorni dal mega-concerto a lui dedicato, rendendo in parte vani gli sforzi profusi dagli organizzatori, aumentando però la suggestione della giornata, durante la quale i gruppi invitati hanno trasformato le loro esibizioni in emozionanti tributi. Il festival è stato dunque occasione per entrare in contatto con la straordinaria umanità, oltre che con il lascito artistico, di un personaggio che da queste parti era sconosciuto ai più. Le sette formazioni che si sono esibite al Luppolo, provenienti da tutta Italia, hanno composto le loro scalette attingendo anche dal vasto repertorio dello stesso Tony Mills, offrendoci spaccati della sua carriera estremamente variegata. Così, il pomeriggio – i live sono iniziati intorno alle 15.30 – è scivolato via tra psichedelia contemporanea, nostalgie glam “anni Ottanta”, rock neoclassico e folk-prog metal, con la musica di Tony Mills a fungere da trait d’union, in un locale non certo imballato, ma affrontato ugualmente dai musicisti con grande coinvolgimento, abilissimi nel gestire un palco che non è stato possibile allestire all’esterno a causa delle previste intemperanze meteorologiche.

La seconda magia si è poi concretizzata in serata, quando finalmente il Luppolo si è riempito al limite della capienza, senza svuotarsi più fino alla fine dello spettacolo. Mattatori i Docker’s Guild, che nel nome di Tony Mills, si sono materializzati in un’inedita formazione con alcuni tra i migliori esponenti del rock pinerolese: Douglas Docker al basso, Jessica Scardina, Anna Petracca (unica non pinerolese della band) e Andrea Rampa alle voci, Stefano Aglì e Carlo Cannarozzo che si avvicendano alla batteria, due chitarristi fenomenali come Tony Urzì e Gianluca Nardelotto, e Paolo Gambino alle tastiere. L’evento è stato magico perché la band, che porta il nome del suo ideatore Douglas Docker, si era esibita dal vivo solamente altre due volte, l’ultima delle quali risale addirittura al 2013. C’era, per tanto, una certa fibrillazione nell’aria che durava da settimane. D’altronde, si tratta di un progetto che ha sempre fatto largo uso di ospiti speciali, evidenziando la mancanza di un nucleo stabile di componenti. Ospiti, anche internazionali – tra i quali proprio Tony Mills – la cui lontananza geografica ha di fatto sempre impedito una certa continuità nelle esibizioni, relegando i Docker’s Guild a uno status di band “da studio”. Il Festival è stato così l’occasione per fornire una nuova veste al progetto, offrendogli una chance concreta di realizzarsi compiutamente. La scaletta, che ovviamente prevedeva anche un buon numero di cover, ha proposto brani estrapolati dal primo album dei Guild, uscito nel 2013, in particolare quelli interpretati proprio da Tony Mills. Per chi li avesse scoperti solo in questa occasione, o ancora non li conoscesse, vale la pena approfondire l’universo tematico all’interno del quale si muove il loro disegno espressivo.

Docker’s Guild è una sorta di concept band, che fonda la sua stessa esistenza sul plot narrativo di una saga fantascientifica, intitolata “The Mystic Technocracy”. La storia racconta delle manipolazioni genetiche apportate al DNA umano da una singolare razza aliena, che mira a causare l’estinzione dell’intera popolazione della terra perché percepita come minaccia alla propria sopravvivenza, e delle vicende del Dr. Heisenberg, il ricercatore che combatterà la propria battaglia per difendere la specie. La storia è suddivisa in cinque stagioni, proprio come le Serie TV cui si ispira, che nella testa dell’autore porteranno alla realizzazione di nove album (i primi due sono usciti nel 2013 e 2016, mentre il terzo episodio, la cui pubblicazione è prevista tra il 2020 e il 2021, è attualmente in lavorazione), un’epopea che promette di essere molto lunga ed elaborata, vincolando a sé con ogni probabilità i destini stessi della band. In questo senso, i Docker’s Guild ricalcano le orme di alcune grandi formazioni prog del passato, come i Gong di Daevid Allen con la trilogia di Radio Gnome, o i francesi Magma, che hanno costruito la quasi totalità della loro storia cinquantennale su un’unica grande mitologia, quella della colonizzazione del pianeta Kobaïa da parte di un gruppo di esuli terrestri. Oppure gli Hawkwind, principali esponenti di quello che verrà poi definito Space Rock, o i Rockets, per i quali le tematiche legate allo spazio sono diventate, nel loro periodo di massimo splendore, fonte unica di ispirazione. Per tanto, l’idea di connettere rock e racconto sci-fi non è certamente nuovo, ancora meno quella di realizzarne una narrazione a lungo termine, ma se avrete la pazienza di leggere la storia di “The Mystic Technocracy”, scoprirete che dietro si cela un’idea davvero geniale, anche per l’implicazione allegorica che soggiace al testo e che rivela una personale interpretazione della deriva autodistruttiva che l’intero pianeta ha imboccato nel corso dei secoli, al centro della quale sta la diffusione planetaria delle religioni. Ovviamente, per evitare lo spoiler, non è dato sapere quali saranno gli sviluppi della vicenda, ma fino a qui promette bene. Tra richiami prog-metal e melodie AOR, con un’evidente pizzico di nostalgia verso il rock “made in eighties” – per intenderci, come se i Journey venissero prodotti alla Dream Theater – si snocciola dunque la parte per ora conosciuta del “romanzo”, raccontata nel primo capitolo “The Age of Ignorance”, e sospesa nel secondo, “Sounds of Future Past”, in cui sigle di telefilm fantascientifici, vera passione del protagonista, agevolano chi ascolta ad immergersi nel mood. I Docker’s Guild sono dunque qualcosa di completamente alieno rispetto al panorama musicale pinerolese, talmente raro che fino a qualche settimana fa, concretamente, nemmeno esistevano. Ma il Tony Mills Festival, che per la band doveva forse essere soltanto una comparsata estemporanea, potrebbe costituire l’inizio di qualcosa di tangibile, perché a quanto pare il lavoro fatto per l’evento potrebbe non rimanere fine a se stesso, ma essere la base per un progetto a lungo termine. Ce lo auguriamo soprattutto per due motivi. Il primo è legato ai nomi che hanno preso parte al live, e che in linea di massima potrebbero costituire la line-up definitiva, perché nove musicisti di questo livello, tutti insieme, qui a Pinerolo non li abbiamo mai visti. Il secondo è perché dalle nostre parti abbiamo fatto sempre dell’ottimo reggae, siamo la culla del punk italiano anni Novanta, abbiamo una scuola cantautoriale di tutto rispetto, ma alla voce ‘rock’ ci sono molte caselle vuote, e riempirne una così sarebbe straordinario, anche un bel modo per onorare Tony Mills, nel cui nome si è trovato il coraggio per rilanciare l’idea.

Per maggiori approfondimenti sul racconto “The Mystic Technocracy”, vi invitiamo a visitare il sito dei Docker’s Guild. Nel frattempo, dal Tony Mills Festival, vi proponiamo alcuni filmati della loro esibizione.

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

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