Anni Novanta: da Villar Perosa il rock dei Sagma

“Tutto quello che avrò fatto non so se basterà; chissà se qualcuno di me si ricorderà”. Cantavano così i Sagma nel 1994, in uno dei loro classici dal titolo “Brucia la cicca”. La canzone raccontava di quella particolare esigenza che spinge l’essere umano a cercare di lasciare delle tracce indelebili del suo passaggio terreno. La necessità di costruirsi una sorta di immortalità, da concretizzare nel ricordo di ciò che siamo stati e delle cose che abbiamo fatto in vita. Un incipit perfetto per la storia che sto per raccontare.

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Le vicende dei Sagma mi coinvolgono in prima persona. Sono stati, infatti, la mia prima band. Non un esordio assoluto, ma certamente la mia prima esperienza – compiuta, duratura e non a carattere estemporaneo – all’interno di un gruppo rock. Va detto che raccogliere i pensieri in merito a quanto accadde trent’anni fa è stato piuttosto difficile. Un po’ per l’effetto dello scorrere del tempo, ma soprattutto per l’impatto emotivo dei ricordi e per la necessità di raccontare fatti personali su un blog tendenzialmente informativo. Proprio oggi, però, ricorre il trentesimo anniversario del primo concerto della band e mi sembrava l’occasione giusta per recuperare il materiale e le memorie rimaste di quel tempo, ricostruendone i tratti salienti.

Era l’estate del ’93 quando prese corpo l’idea dei Sagma. Eravamo in tre: io, Rudy Cattafi e un appena diciottenne Andrea Bozzetto. Ci accomunava, oltre alla passione per la musica, il fatto di essere tutti e tre di Villar Perosa, una cittadina tendenzialmente adagiata su una sorta di torpore quasi perenne. Qui il mito di una fabbrica che per decenni aveva dato lavoro a tutta la valle aveva finito per provincializzare ulteriormente il territorio, chiudendolo tra due simboliche colonne d’ercole ed ergendolo a mondo a sé, incapace di permearsi di suggestioni creative e multiculturali, come accadeva invece ad altre zone limitrofe, da questo punto di vista più fortunate e attive. Pur con qualche eccezione rilevante, infatti, dalle nostre parti non ci fu mai un vero e proprio fermento artistico e musicale. Ed è forse anche per reazione a questo piattume letargico, ma anche per una passione che da tempo covava dentro di noi, che cominciammo a parlare seriamente di mettere su un gruppo.

Non ricordo con precisione quali furono le circostanze che ci portarono a imbastire l’idea di suonare insieme. Certo è che io, da qualche anno, avevo cominciato a strimpellare la chitarra. Con esiti, per altro, piuttosto deludenti, ma di questo ero ancora poco consapevole. Rudy aveva per istinto il desiderio di cantare e Andrea già esprimeva, seppur in maniera ancora acerba, un talento fuori dal comune. L’esercizio costante sui dischi jazz del padre Renato – anche lui stimato musicista che negli anni Sessanta era stato parte dei popolarissimi Licantropi – gli aveva consentito di sviluppare qualità e idee che stavano molte spanne sopra le nostre. Un genio innato e ore di studio caparbio l’avrebbero poi portato nei decenni successivi a diventare il pianista straordinario che è oggi. Io e Andrea, per altro, avevamo già avuto, negli anni precedenti, l’occasione di passare alcuni pomeriggi a suonare insieme, coltivando un’amicizia che durerà nel tempo e innescando una grande curiosità nelle possibilità della musica come mezzo di espressione personale.

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Eravamo in tre, dunque. Voce, chitarra e tastiere. Mancavano, quindi, solo alcuni tasselli fondamentali per un gruppo rock, come la batteria e il basso. Il primo lo risolvemmo abbastanza in fretta. Contattammo Diego Bourcet, un altro nostro compaesano, un po’ più grande di noi e già con qualche esperienza alle spalle, che in quel momento era libero da impegni. Per il basso reclutammo Marco Peron, l’unico “straniero” della formazione, che Andrea conosceva per via del liceo. Infine imbarcammo anche un secondo chitarrista, Fabrizio Bourcet, cugino di Diego, anche lui nostro concittadino. Fabrizio lo conoscevo fin dalle elementari ed era sempre stato particolarmente portato per la musica, affrontata sempre con un invidiabile approccio poliedrico. Attratto fin da piccolo dai sintetizzatori, in quegli anni si era avvicinato alla chitarra con ottimi esiti, diventando poi nel tempo anche un eccellente bassista (lo ricordiamo come tale in una delle più recenti formazioni dei Sinergia).

La formazione era pronta. L’idea era quella di suonare cover, così iniziammo a studiare qualche pezzo. Ovviamente suggestionati dalla musica che andava per la maggiore nei primi anni Novanta, fu per noi quasi naturale, e per la verità anche un po’ scontato, partire da “Knockin’ on Heaven’s Door”, in quella versione dei Guns N’ Roses che fece da traino per il loro “Use Your Illusion II” del ’91. Cominciammo a provare verso fine ottobre in una casa in borgata parzialmente da ristrutturare – oggi è diventata la casa in cui vivo – ma presto riuscimmo ad ottenere dal Comune una sala seminterrata sotto la biblioteca. Per intenderci, dove oggi c’è la Farmacia. La sistemammo con i tradizionali cartoni delle uova e un minimo di blindatura per mettere al sicuro le attrezzature su cui avevamo investito non poco e la nostra avventura potè finalmente partire.

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Iniziammo a buttare giù un po’ di repertorio. Le nostre scelte ci avrebbero portato a stilare scalette che, rilette oggi, appaiono come un gran minestrone senza alcuna coerenza. Facevamo dai Guns a Sting, da Battisti ai Nomadi, da Ruggeri ai Litfiba. Mettevamo insieme Bob Marley e Venditti, Zucchero e Santana. Allora, però, la cosa ci sembrava il nostro punto di forza. Ciò che, malgrado i nostri evidenti limiti tecnici, ci faceva apprezzare da una bella fetta di pubblico e dai locali che ci ospitavano, che puntualmente ci richiamavano per numerose repliche. Per completare pienamente il progetto, però, mancava ancora il nome. Andrea lo pescò aprendo a caso il vocabolario di latino. Sagma era una parola il cui significato – “soma, basto” – non aveva alcuna attinenza con la musica o con le nostre biografie, ma ci piacque, anche solo perché suonava bene. Così lo mantenemmo.

L’intraprendenza senza pari di Rudy ci portò a fissare subito una data. Il nostro esordio, infatti, sarebbe avvenuto dopo appena quattro mesi di prove. E per un gruppo di musicanti sostanzialmente alla prima esperienza era davvero una follia. Avere un impegno da rispettare, però, ci appariva come la strada più efficace per spingerci a lavorare di più e a migliorare in fretta. Così, coraggiosamente, ci avviammo a posare il primo mattone della nostra avventura. Il primo concerto, dunque, arrivò rapidamente. Era il 26 febbraio 1994 quando salimmo per la prima volta su un palco. Il luogo prescelto era il teatro dell’oratorio di Villar Perosa. Oltre ogni più rosea aspettativa, fu un successo clamoroso. Stimammo in circa duecento persone il pubblico accorso. Come accennato più sopra, non era così diffusa la musica in valle ed evidentemente la curiosità di vedere un gruppo di ragazzotti del posto alle prese con un live era tanta. Il teatro, infatti, era stracolmo di gente. Un centinaio di posti a sedere tutti pieni e altrettante persone in piedi, al fondo e ai lati. Avevamo deciso di entrare a sorpresa dal medesimo ingresso del pubblico, ma a causa della calca facemmo molta fatica ad arrivare al palco! Con tutti i limiti dell’esecuzione, anche viziata da un’inevitabile emozione, fu qualcosa di davvero memorabile.

L’avventura dei Sagma era partita dunque sotto i migliori auspici. Dopo un paio di concerti, però, rimanemmo in cinque per l’uscita dal gruppo di Fabrizio. Tornammo dal vivo a Villar verso fine giugno, quando in scaletta comparvero le prime canzoni originali. Fummo sempre una cover band, ma non ignorammo mai la possibilità di tiepidi e acerbi tentativi di comporre qualcosa di nostro. Sebbene pure Marco avesse contributo con qualche sua canzone, a scrivere era prevalentemente Rudy. “Signore del male” e, soprattutto, “Brucia la cicca” divennero immediatamente dei piccoli classici della nostra scaletta. Così, tra alti e bassi, in un anno e mezzo facemmo una ventina di concerti. Da ricordare sicuramente la nostra partecipazione alla Festa dei Giovani alla Fenulli, le festacce al Citiso di Prali, pure due date in una gelateria di Carmagnola dove il cachet complessivo fu di 700.000 lire, un ingaggio oggi quasi impensabile, soprattutto se pensiamo che era il ’94. Tra le particolarità che ci contraddistinsero maggiormente, mi piace ricordare la strumentazione di Andrea che, a un Korg moderno, abbinava un Vox Super Continental e un Leslie valvolare originali degli anni Sessanta. Pesantissimi da trasportare ma che suscitavano, ovunque andassimo, una curiosità “filologica” non indifferente.

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La storia durò fino all’estate del 1995. La line-up si arricchì, nel corso del tempo, di qualche volto nuovo. Fece parte dei Sagma anche Daniele Bertone, altro villarese d.o.c., oggi apprezzatissimo batterista e percussionista – tra gli altri, collabora con il sassofonista Carlo Actis Dato e con il compositore Filippo Cosentino – all’epoca ancora in equilibrio tra djembè e fisarmonica. Daniele apportò una visione del tutto originale al nostro suono, inserendo in scaletta anche un paio di sue composizioni. Quando già eravamo sul viale del tramonto, entrò poi nella band anche il chitarrista Bruno Biscaldi che, in ambito cover, allora era tra i più apprezzati interpreti pinerolesi del suo strumento.

Come finì la storia dei Sagma mi appare oggi avvolto dalla nebbia. Credo che vennero fuori alcune tra le più classiche divergenze di visione generale, qualche screzio di cui non ricordo più né cause né esiti. Ci furono in seguito dei tentativi di ricostruire la band con altri musicisti ma la cosa non funzionò e, così come nacquero, i Sagma terminarono la loro avventura. Facemmo l’ultimo concerto a Pomaretto e poi ognuno prese la sua strada. Non fu un gruppo che lasciò il segno, né per le capacità musicali, né per i contenuti strettamente artistici, né per la durata che fu davvero breve. Però i Sagma rappresentarono il punto di partenza di molte storie importanti perché, chi più chi meno, e ognuno a proprio modo, siamo rimasti tutti nell’ambito musicale.

Rudy inizialmente continuò su una strada analoga a quella dei Sagma con i Pericolo Acustico, virando più avanti verso il liscio e la musica di intrattenimento, percorso di cui rimane appena qualche traccia in rete (v. qui la sua “Tarancamperissima”). Andrea Bozzetto è diventato oggi uno dei migliori pianisti sul territorio. Molte sono state le sue collaborazioni di prestigio, tra cui vale la pena ricordare quelle con Solo Razafindrakoto – chitarrista di Miriam Makeba – e alcuni tra i più importanti nomi del jazz italiano, tra cui anche i pinerolesi Andrea Allione e Andrea Ayassot. Attualmente è impegnato con gli Edna, un trio jazz dalle forti tinte sperimentali, che sta per tornare dopo un periodo di inattività. Con Diego ho suonato praticamente in quasi tutti i gruppi che ho avuto nei vent’anni successivi, dai Sinergia ai Boars Nest, fino alle Officine Lumière. La sua ultima avventura va fatta risalire a pochi anni fa, in qualità di apprezzato percussionista nella party band dei Too Rock. Marco Peron, di cui ho poi ancora incrociato la strada nei Boars Nest, ha recentemente preso parte ad alcune formazioni di zona, tra le quali i Soundgrunge e la band del cantautore Holy M. E per quanto riguarda me, dopo essere entrato nei Sinergia, aver fondato i Boars Nest – pop e dance anni Ottanta – e aver dato vita alle Officine Lumière, oltre a essere stato anche nei Soul Power e nella tribute band Cheap Prick, oggi sono qui a raccontarvi questa storia di trent’anni fa, insieme a molte altre storie della musica locale, tramite le pagine di Groovin’.

Di seguito ho recuperato qualche cimelio relativo a quella breve parentesi: un vecchio articolo dell’Eco Mese, qualche rarissima foto del primo live e tre video. Il primo è la cover di “Con il nastro rosa”, brano di apertura del nostro primo concerto, quindi esordio assoluto dei Sagma. Gli altri due filmati invece sono estrapolati dallo show del 19 giugno 1994 e si tratta di due canzoni inedite, la già citata “Brucia la cicca” e “Sogni”, entrambe scritte da Rudy Cattafi.

Sono certo che perdonerete l’inevitabile tono autoreferenziale, ma l’anniversario non poteva passare inosservato, soprattutto se celebrato da chi quel momento l’ha attraversato con una passione indescrivibile, come accaduto al sottoscritto.

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Dall’Eco Mese del Novembre 1994 – Articolo di Laura Guzzo

COVER DI OGNI GENERE
Da Villar Perosa il rock grintoso dei Sagma

I Sagma di Villar Perosa si scatenano in un rock grintoso, sfoderando a raffica cover di ogni genere, dai Beatles ai Litfiba, da Battisti ai Nomadi, dai Santana a Sting. Il loro repertorio di quaranta pezzi esprime le più diverse tendenze di questi giovani musicisti, che spaziano dall’heavy metal, al rock, dal pop al melodico. I Sagma, studenti e lavoratori, suonano per diletto, compongono per passione: «I nostri brani sono scritti in italiano – commentano – perché è la nostra lingua e quindi riusciamo meglio a comunicare i nostri stati d’animo, le nostre emozioni. Le canzoni sono perlopiù introspettive, descrivono situazioni relative a problemi esistenziali. In “Brucia la cicca” si avverte la necessità che ognuno di noi ha di lasciare una propria impronta indelebile nel tempo… Tutto quello che avrò fatto non so se basterà, chissà se qualcuno di me si ricorderà».

Anche se non si sa cosa si farà della propria vita, la cicca continua a bruciare: è importante operare delle scelte, essere ignavi non risolve nulla, è fondamentale prendere delle decisioni e portarle a termine.

«“Signora del male”, invece, parla delle sottili violenze che la società usa sull’individuo, che non è libero di essere sé stesso, ma è costretto ad essere ciò che non è, ad uso e consumo dei costumi. I nostri comportamento sono perlopiù indotti e a volte imposti, per questo abbiamo imparato a prendere la vita per quello che ci dà».

Una decina i concerti finora realizzati negli oratori a Villar Perosa, nei pub di S.Secondo e a Pinerolo all’Expo Fenulli per la “Festa dei Giovani”.

Trovare uno spazio per loro non è stato un problema: «È bastato chiedere una sala al Comune di Villar che gentilmente l’ha messa a disposizione. In cambio ci siamo offerti di animare qualche serata per i giovani».

Prossimamente si esibiranno all’oratorio di Villar, accompagnati da altri tre complessi, e in qualche birreria del Pinerolese.

«Sarebbe bello ritrovarsi in occasione di più manifestazioni – ribadiscono – in quella di Pinerolo abbiamo potuto conoscere realtà diverse dalla nostra che ci hanno consentito uno scambio culturale con altri ragazzi accomunati dalla voglia di suonare. Tuttavia la legislazione attuale, troppo burocratica, non agevola l’organizzazione di attività culturali, nemmeno a scopo di beneficenza!»

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Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.

http://groovin.eu

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