Un leone a Parigi

Libere digressioni intorno a personaggi di Beatrice Alemagna, Alessandro Baricco, José Saramago, Gabriel Garcia Marquez, Yves Klein, Jorge Amado e Alberto Pittau

I passanti a Montmartre ormai lo conoscevano tutti. Passeggiava silenzioso e poi si illuminava ogni volta che scambiava due chiacchiere con uno sconosciuto. Indossava sempre una camicia di cotone Blanc du Nil, ed una giacca di lino. Un Panama leggermente di tre quarti. Lasciava al suo passaggio un profumo buono di tabacco al bourbon e cioccolato, che si spandeva nell’aria dalle sue pipe. Sì, ne aveva tante di pipe e le cambiava tutti i giorni. Non era giovane e, anche se lunghi capelli biondi gli scivolavano lungo la nuca, le rughe d’espressione tradivano i suoi veri anni. Gli occhi erano di ragazzo e sciabolate di blu sfavillavano quando il sole accarezzava le sue iridi. Era affabile ma discreto e la gente si domandava da dove venisse e perché fosse finito qui a Parigi, quali storie di vita scorressero dietro quella andatura fiera ed allo stesso tempo come sommessa, il passo di chi ha coraggiosamente combattuto ma ha perso. E ha perso malamente.

Sembrava aspettare. Ma nessuno sapeva cosa o chi. A volte restava ore seduto a guardare in fondo alla via. L’azzurro degli occhi scuriva, tanto intenso diveniva lo sguardo. Guardava fissamente. No, non nel vuoto, no. Guardava quel punto esatto dove in una sera particolarmente mite d’inverno la sua vita aveva iniziato a defluire in un buco, come l’acqua roteando sparisce nello scarico con un gorgoglìo. Ogni tanto sorrideva al pensiero: la sua vita, scappando, non aveva nemmeno gorgogliato. Talvolta se ne arrivava nella via con un carrellino a due ruote e la gente si fermava a guardare quell’uomo bislacco estrarre da valigette e scatole di cartone improbabili oggetti… matite e lapis, legni contorti, biglie, bottoni, rose secche. E poi imbuti di latta, pezzi di biciclette, luci di Natale, tappi, vecchi portafogli sdruciti. E mappe, una miriade di mappe: mappe di luoghi e non luoghi, di stelle e di rughe, di vie di seta e di sentieri di carta vetro. E poi rotoli di disegni, pacchi di fotografie slabbrate dal tempo. E scrigni che aperti lasciavano uscire note, a milioni, che inseguiva e catturava rendendole musica su una vecchia chitarra scolorita. Poi, eccitato, tirava tutto fuori, con la gente intorno a curiosare. E se ne stava lì per ore a sistemare un oggetto qui e uno là, con l’azzurro degli occhi improvvisamente limpido, profondo, così intenso che Klein avrebbe sobbalzato di meraviglia e avrebbe ripensato i suoi colori.

Un giorno, uno di tanti, alzò gli occhi a guardare in quel punto lontano di sempre. E lo vide. Si stropicciò il viso, il Panama un po’ sollevato e guardò di nuovo. E lo rivide. Placidamente sdraiato, lo sguardo dritto nel suo, attraverso milioni di sguardi stava un leone. L’uomo gli si avvicinò. “Che ci fai qui, nel mio Punto di non ritorno?”. “Sono uscito da un vecchio libro per te”, rispose il leone. Sotto la sua pancia un filo rosso sottile si dipanava oltre l’orizzonte. L’uomo si toccò la tasca dove teneva da sempre un gomitolo rosso e si accorse che quel filo infinito partiva proprio dal suo gomitolo. Il leone sbadigliò e alzò gli occhi gialli verso lo sguardo stupito che pioveva da sotto il Panama. “Lascialo correre, non importa dove. Non tirare. Non puoi riavvolgerlo, è troppo ingarbugliato tra vette, scogli e silenzi. Si svolgerà da sè e si riunirà al tuo gomitolo, in un mattino di vento. È tuo il passo di chi è rimasto e non ha mai rubato. Non tirare. Ciò che è tuo sarà tuo sempre”.

L’uomo lo guardó perplesso. Un soffio di vento del Sud si insinuò lungo la via, scompigliando i capelli e sfogliando vecchi libri sul carrello laggiù, accanto agli oggetti improbabili. E fu così che Jun sorrise a José finalmente consegnando il suo pacchetto, Dona Flor sorseggiò un té insieme a Pilar tra gli ortaggi nella lava nera di Lanzarote, Vadhino ridendo riconsegnò le chiavi di un vecchio pianoforte, ritornando ad essere sogno, e Florentino Ariza ancora ragazzino si guardò bene dall’irrompere nel mercato. Firmina si raccolse i capelli, non vide nessuno cadere da un albero e non incontrò mai il colera, salì sul battello e si sentì felice come quando bambina guardava le rondini. Il leone si alzò e scosse la criniera. Piccoli ciottoli bianchi si sparsero intorno come spruzzi di un mare lontano. “Vieni “, disse all’uomo. E si incamminò. “E dove andiamo?” … “A bere un Hugò”. Si narra che la sera d’estate, a Montmartre, quando la notte è più profonda, si vedono camminare accanto un uomo col Panama e un leone.

Roby Salvai

Pinerolese. Musicista da 50 anni. Guida professionista in Africa per quasi due decenni. Scrittore per Effatà Torino, Polaris Firenze, Mucchi Modena, Prospettiva Editrice Roma. Ha collaborato con Edt Lonely Planet.

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