Un percorso surreale, la riscoperta dei Cracsi Acd

Cari lettori de “L’assalto del tempo”, rieccomi a voi dopo un periodo abbastanza lungo di assenza. Ritorniamo a rivolgere il nostro sguardo di cultori della scena pinerolese “storica”,  parlando di una band di cui, ingiustamente, si parla poco: i Cracsi acd. Fautori di un punk musicalmente molto distante dai canoni dell’hardcore che distinse la ruspante scena ”nostrana” dei mitologici anni 80 e 90, li ricordo come una formazione intelligente, ironica e molto attuale, quasi profetica direi, rispetto all’evoluzione della società che da quegli anni così neutri ci ha traghettati sino all’attuale oceano di guano nel quale sguazziamo allegramente. Per scoprire il microcosmo dei Cracsi acd,  ho scelto di intervistare quello che identificavamo come figura maggiormente carismatica al loro interno: il grande Andy Rivieni, da tempo “migrato” nel basso Piemonte alessandrino.

I Cracsi Acd ai Murazzi del Po

Ciao Andy, intanto grazie per avere accettato di raccontarci qualcosa in più di una band davvero importante per la scena Pinerolese dei primi anni ’90. Alla prima domanda spetta d’obbligo la palma della banalità e non intendo discostarmi da questo standard così efficace. Come vi siete formati e chi sono stati i componenti del gruppo, nel corso della sua esistenza? Io ricordo in particolare la sostituzione della mitologica batteria elettronica con un più versatile Manolo ma ci furono diverse trasformazioni della line-up nel percorso della vostra parabola creativa…

“SE DEVI DECIDERE 
SE CREDERE ALLA STORIA
O CREDERE ALLA LEGGENDA
NON AVERE MAI DUBBI:
CREDI ALLA LEGGENDA”
(Tony  Wilson)

In realtà non furono poi tanti i musicisti che gravitarono intorni ai Cracsi acd. Molto velocemente posso dirti che ci formammo in embrione intorno all’ ’89. Fu un fortunato incontro. Da un lato c’ero io e la mia ragazza di allora che eravamo appena stati estromessi dalla Rappresentanzza Demente e dall’altra un giovane Andrea Pomini che stava distribuendo volantini, mi pare di ricordare, contro Franco Franchi fresco di un avviso di garanzia per associazione mafiosa (da cui poi fu successivamente prosciolto). Ci avvicinammo incuriositi a quel giovane folle che, incredibilmente, ci riconobbe e da lì iniziò una chiacchierata fitta fitta e la voglia di mettere su un progetto nuovo. All’inizio, evaporata la mia ragazza, eravamo noi due e la batteria elettronica (tutt’ora perfettamente funzionante). Poi si aggiunse Fili (Roberto Filidoro) con cui facemmo i primi, incoraggianti, live. Poi ancora un ragazzo che suonava la batteria ma aveva grossi problemi di dipendenza. La formazione divenne stabile con l’arrivo del giovanissimo Simone “Soda” Glave al basso e della batteria di Manolo Ronzino. Il loro apporto non fu solo prezioso dal lato umano, con loro i Cracsi Acd cominciarono ad avere anche un suono riconoscibile, tutto nostro. Seguimmo tutta la parabola degli anni novanta, incarnandone contraddizioni e possibilità. Eravamo molto diversi uno dall’altro. I Cracsi acd sono stati l’unica esperienza musicale della mia vita che si è sciolta naturalmente, senza scazzi, senza litigi, credo nel 94 o nel 95. Eravamo legati a filo doppio al nostro tempo e i tempi stavano cambiando, siamo stati l’ultimo gruppo della prima repubblica. I Cracsi erano diventati inutili. Si pensava già ad altro.

Se affermo che il tratto distintivo dei  Cracsi acd era una marcata ironia surreale di fondo, affermo una colossale cazzata o in qualche modo pensi che possa essere vero?

Penso che sia vero solo in parte. I testi li scrivevamo io e Andrea Pomini e avevamo due stili diversi. Io prediligevo l’ironia e il paradosso, lui era più diretto, complici anche i suoi ascolti hip-hop dell’epoca. I suoi testi, così a memoria ti cito “Andiamo al cinema” ( che parlava della paventata militarizzazione dell’allora fatiscente Cinema comunale Primavera) e la bellissima “Gnun Rispet!” (contro le colombiadi del 1992) erano testi combattivi e diretti, inequivocabili. Io più di una volta mi sono preso qualche fischio quando il paradosso non veniva colto. Ma eravamo un mélange che funzionava. Avevamo anche testi tristi e malinconici. Avevamo una canzone su una ragazza assassinata dal suo stupratore e la stessa“Morire democristiani”, probabilmente la nostra canzone più nota, anche a livello nazionale, ha un testo amaro.

Eravate un delizioso mix di tecnica-zero, testi satirici dal retrogusto amaro e etica “Do it yourself”. Quanto di quell’approccio così consapevole e orientato alla sostanza ti sei portato dietro nel tuo successivo percorso artistico? 

Direi che dell’approccio orientato alla sostanza, se per questo intendi attenzione al “social-politico” financo alla cronaca e ai “problemi” dell’umanità, non è rimasto nulla, vivaddio! Come ti ho detto eravamo gli ultimi di una razza in estinzione: gli artisti “portavoce” che spiegano le cose e propongono le soluzioni. Un atteggiamento che era già inutile negli ultimi anni di vita dei Cracsi acd e di lì a poco sarebbe diventato ridicolo. Se ci pensi anche alcune esperienze nate da o dopo noi, come i Fichissimi o gli stessi Delinkuere, guardavano e proponevano cose completamente diverse. Per quel che riguarda invece l’atteggiamento punk (tecnica zero e do-it-yourself che io riassumo nella massima “prima fai e poi impara”) mi ha seguito tutta la vita e ne sono tutt’ora impregnato. Ho avuto e ho tutt’ora una carriera nel campo delle arti visuali, performative e sonore sperimentali ed estreme che mi hanno portato accanto a grandi nomi internazionali e a sconosciuti giovani di talento.  L’atteggiamento punk mi ha permesso di confrontarmi con entrambi rimanendo me stesso. Vorrei essere più chiaro per non ingenerare equivoci: io non rinnego un solo secondo della storia dei Cracsi acd, e li sento parte importante della mia storia. Ma quella storia è finita. Ogni tanto anche a me arrivano richieste di “reunion” (del resto impossibile perchè siamo troppo sparpagliati per il mondo), ho sempre rifiutato. Sarebbe un penoso esercizio di autocompiacimento.

Il mio primo ricordo di voi è uno di quei meravigliosi concerti “all’ammasso” che si facevano al compianto auditorium di Corso Piave. Restai colpito da quell’ impianto sonoro così scarno con tanto di drum-machine e da quelle canzoni così scarnificate ma dannatamente efficaci. Quali erano, se ce n’erano, i riferimenti stilistici a cui ti ispiravi nel proporre un discorso espressivo così concreto ?

Come gruppo non avevamo riferimenti stilistici precisi, se non il generico magma del punk-grunge-hardcore dell’epoca. Personalmente in quell’epoca cominciavo ad ascoltare con devozione il rock estremista tipo Butthole Surfers o esperienze sperimentali come TG e Cabaret Voltaire. Il mio chitarrista preferito era Keith Levene e, naturalmente, come molti amavo il modo di scrivere di Giovanni Lindo Ferretti. Ma credo che ci sia poco di tutto questo nei Cracsi acd. Tutti e quattro avevamo punti di riferimento molto diversi. Potrei dire che l’unico gruppo che amavamo tutti e quattro, e che abbiamo anche omaggiato di una cover, erano i Truzzi Broders di cui molti a Torino ci consideravano, a torto, cugini.

Non ho mai amato , se non con rare eccezioni, il cosiddetto “rock demenziale” ma ascoltando ad esempio “Spariamoci una lega”, questo filone fa capolino nella sua forma più alta. Se ricordo bene, tu arrivavi dalla “rappresentanza demente” che a Pinerolo era comunque una realtà significativa che in molti non conoscevamo bene. Che cosa voleva esprimere  quella “tribù urbana” che noi giovani punx, metallari e rockers di panettone-city  percepivamo come lontana anni luce dalla nostra sensibilità ?

La risposta mi sembra fin troppo ovvia: NIENTE. Però ti devo correggere: si chiamava Rappresentanzza Demente con due zeta. In realtà con quello che poi sarebbe diventato il “rock demenziale” tipo Skiantos , Elio e le Storie Tese e via cantando avevamo abbastanza poco a che fare. Fino a quando ne ho fatto parte io (approssimativamente dal 1983 al 1988) le cose funzionavano così: eravamo un gruppo piuttosto nutrito di eccentrici ognuno con un suo progetto (musicale ma anche no) che collaborava con gli altri secondo le sue possibilità. Non c’era uno stile musicale o un orientamento da seguire. Nella Rappresentanzza trovavi punk, melodici, sperimentatori tutti nella stessa sera, le pareti del luogo scelto erano coperte di disegni, foto di merde di cane, scritte incomprensibili. In città avevamo buoni rapporti con i punk-new wavers, non buoni con i cantautorati e pessimi con i metallari. Dalla Rapresentanzza sono usciti fuori o si sono bagnati i piedi musicisti che poi avranno carriere importanti come Madaski, Giovanni Ruffino, Giovanni Battaglino, Lucio Strimpelllo. Ti voglio raccontare un aneddoto che pochi ricordano: il punto di ritrovo di tutti gli alternativi di qualunque colore di Pinerolo negli anni Ottanta era Magic Bus, un negozietto di dischi gestito da Salvatore, un tipo eccezionale che appena entravi ti metteva subito in mano la novità appena uscita vicina ai tuoi gusti. Capitavamo tutti lì e in un’epoca in cui i generi musicali erano ben divisi e spesso in antagonismo fra di loro quello era un porto franco. Magic Bus organizzò un torneo di calcio fra tendenze musicali pinerolesi: New-wave, Dementi, Metallari e country/cantautori (questi ultimi non riuscirono a formare una squadra). Della partita con i metallari ricordo ancora il dolore agli stinchi, non ricordo di avere visto il pallone ma ricordo continue risse che si accendevano e si spegnevano. Non ricordo il risultato ma credo che perdemmo almeno 1.0. La partita con la new wave fu più divertente, soprattutto perchè, dopo un primo tempo in cui ci segnarono due gol, si rilassarono nell’intervallo fumandosi diverse sigarette farcite di erbe. Dominammo il secondo tempo ma riuscimmo a segnare un solo gol.

Mi capita spesso di far ascoltare a qualcuno “Spariamoci una lega” oppure “Morire democristiani”. Al netto dell’ironia a cui abbiamo ampiamente fatto cenno poco sopra, si potrebbe definirvi parte della “scena politica” che a Pinerolo aveva tanti degni rappresentanti?

Politicamente parlando come prassi eravamo molto legati all’esperienza del Colettivo ZeroAZero, che era un coacervo molto eterogeneo orientato sulla sinistra non allineata e che mirava soprattutto a realizzare un’esperienza di autogestione e di liberazione permanente di spazi a Pinerolo. In macro il coinvolgimento politico era inevitabile: nella nostra breve ma intensa parabola i Cracsi acd hanno visto il Pentapartito, l’ascesa e la caduta del Craxismo, la caduta, almeno formale, della Democrazia Cristiana, la giostra della scissione della sinistra, la breve stagione di Mani Pulite, la Rete, l’ascesa del Berlusconismo. La stagione fiorente dei centri sociali autogestiti, delle autogestioni e autoproduzioni. Tutta roba di un’era geologica fa, politicamente parlando. Il nostro rapporto con la politica professionale locale e nazionale era essenzialmente di azione-reazione. “Spariamoci una Lega” nacque così, un mio effimero vanto è quello di aver messo in evidenza il carattere sovraideologico della Lega di allora, infatti la canzone ha una strofa “di sinistra” e una “di destra”. Ma c’è poco da vantarsi; bucammo tutti la portata incredibilmente rivoluzionaria, malefica ma pur sempre rivoluzionaria, della vittoria del Berlusconismo.

Quali tra le band del sottobosco locale erano quelle che sentivate più affini e con quali avevate sviluppato un rapporto di amicizia più stretto?

Credo che il gruppo pinerolese con cui dividemmo più volte il palco furono gli Affittasi Cantina e quindi li consideravamo “parenti” anche se con notevoli differenze. Motivi di affinità ci legavano sicuramente ai  Cruelty Free Core di Mr. Occhio e ai Makhnovchina e alle innumerevoli incarnazioni di Karenza. Personalmente avevo e ho tutt’ora qualcosa di più dell’ammirazione per i Barboncini e la loro cassetta “La Nnnoia è Ttanta” che considero il prodotto più maturo del rock pinerolese di quel tempo. Su Torino dividemmo i nostri destini per qualche anno con i Disforia Psichica, Oppe, Gerstein (che ritroverò con piacere in tempi recenti) e i Fucktotum; gruppi con cui pubblicammo anche due vinili e girammo il Nord Italia.

Ricordo, verso la fine degli anni ’80, un tuo spettacolo alla ex caserma “Fenulli” in cui violentavi senza ritegno delle canzoni dei Beatles con malcelato piacere. Adorai quel recital che suscitò, invece, reazioni abbastanza sdegnate nei puristi e negli “intoccabilisti “ già allora presenti a quintali. Direi che dissacrare era una delle chiavi del tuo esprimere contenuti usando il mezzo musicale. È vero o sei in disaccordo? Se è vero, questa pulsione “iconoclasta” è rimasta nel tuo discorso artistico odierno,  più improntato all’immagine che al suono ?

Innanzitutto ti ringrazio del ricordo. Non sei il primo che mi ricorda quel concerto. Considerando che il pubblico non doveva superare le trenta unità lo considero un memorabile evento. Ero e sono sempre stato allergico all’idolatria nella musica, anche nella mia musica. Un esercizio, quello di mettere alla berlina i santi che ho sempre trovato eccitante e salvifico, tenendomi lontano, anche se le apparenze potrebbero apparire contrarie, dalla blasfemia che trovo noioso esercizio di pigrizia. Oggi non è più possibile farlo come allora perchè le “icone” attuali della musica (come del resto) sono fatte per durare meno di una scoreggia in ascensore: poco suono, tanta puzza e al massimo la lettera indignata di qualche condomino. Ho cambiato profondamente il mio atteggiamento nei confronti del rock che considero ormai un’arte di repertorio al pari del melodramma o del balletto classico. Uno dei motivi per cui i Cracsi acd si sono sciolti è stato anche vedere il pubblico sotto il nostro palco mutare rapidamente: da curioso a interessato e complice e infine indifferente. Ci siamo sciolti prima di vedere la sciagura del pubblico “protagonista”.  Oggi nemmeno il baraccio più periferico scampa dal modello televisivo: o il Talent (mascherato più o meno da buone volontà velleitarie) o il “come eravamo” con la vecchia gloria condannata a ripetere in eterno i propri errori. Vorrei essere chiaro però: non ce l’ho  e non nutro alcun astio verso chi sceglie queste strade. Io non sono meglio di loro. Ho solo scelto un’altra via.

E vorrei spendere qualche parola su quello che faccio oggi in ambito sonoro. Riallacciandomi alla tua precedente domanda su quanto della prassi e dell’idea punk sia rimasto in me. Attualmente collaboro con due progetti molto diversi; i LEPEGO (una creatura del pinerolese Lucio Strimpello, ex Gnu Gnu, Womiti Kaldi) dove si riprende un concetto simile a quello dei Residents, in particlare di Commercial Album. Minimalismo appoggiato alle nuove tecnologie a portata di tutti e pezzi in forma canzone che non superino però i due minuti il tutto portato avanti da una band fantasma. Dopo pochissimi live abbiamo deciso di appoggiarci alle sovrastrutture comunicative dei social media. Lì approdiamo in porti anche lontanissimi (per dire siamo stati in heavy rotation in una radio greca) proponendo un mix di ballabili surreali e pillole di saggezza inquietante. L’altra esperienza, di segno apparentemente  opposto, e che riprende il mio vecchissimo amore per l’industrial, la sperimentazione estrema e il noise, è ATTUALITÀ NERA che condivido con Mario W. Gacy, un nome importante nel genere. Questo progetto è chiaramente anti-musicale, suite lunghe, ritmica assente e sostituita al massimo da pulsazioni grevi e soprattutto stratificazioni di rumori. Qui però, dopo un due-tre anni di esistenza solo virtuale e pochissimi live, siamo ritornati a produrre su supporto fisico (cassette e cd) in modo non dissimile dalle autoproduzioni degli anni ottanta-novanta. La sorpresa è stata che vinili, cassette, cd hanno un mercato anche nell’era digitale ma fatto da feticisti. Tuttavia siamo, nella nicchia molto ristretta del noise-industrial-power-electronics-nuova musica molto ben considerati e collaboriamo con progetti di tutto il mondo (Francia, Brasile, Ecuador, Stati Uniti). Questo per dirti che il rock non mi manca per niente. In giro di stimoli ce ne sono a bizzeffe, basta andarli a cercare privi del lanternino ideologico musicologico che usavamo trenta anni fa e che non funziona più. 

Per chi volesse approfondire:

https://www.soundclick.com/artist/default.cfm?bandID=1448289&content=overview

https://attualitanera.bandcamp.com/


Grazie di cuore, Andy, per le tue risposte. Era davvero doveroso “rispolverare“ un ensemble così peculiare quale i Cracsi acd e farlo conoscere ai lettori più giovani de ”L’assalto del tempo”. Grazie anche a Groovin’, in particolare a Ones, per il fondamentale contribuito che fornisce al mantenimento della memoria del panorama musicale underground della Pinerolo che fu.

Un saluto al pubblico di Groovin’ e al suo staff

guidoross

guidoross

Guido "Ross" Rossetti è il curatore de "L'assalto del tempo", la stanza virtuale di chi, come lui, è impegnato a riordinare gli antichi fasti della propria scena musicale. Se è vero che la musica passata va ascoltata con attenzione, è altrettanto vero che la sua cornice va descritta con la vivida passione di chi c'era. "Ricordare un futuro" è la mission che lo storico suonatore pinerolese intende dividere con i suoi lettori.

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Groovin'