“Dove osano le aquile” – Quattro chiacchiere con Miky Bianco

Con un piacere immenso, grazie a Groovin’, il portale della musica pinerolese, dopo tanti, tantissimi anni la mia strada incrocia nuovamente quella di uno dei musicisti più importanti che il nostro territorio abbia mai visto crescere: Miky Bianco. Scavando nei meandri più reconditi della mente abbiamo ricordato quando nel 1991 suonammo alcune volte alla sala prove “Centro Musica” di stradale Fenestrelle a Pinerolo, insieme ad un portentoso giovane batterista torinese. Già allora si intuiva che il suo talento sulla sei corde lo avrebbe portato lontano e la sua storia personale lo ha dimostrato.

miky bianco chitarra guitar

Miky oggi è un guitar hero moderno ma assolutamente fuori dagli schemi, sempre gioviale, in grande forma fisica e, come già sapevo, dotato di una vivacità dialettica che rende la conversazione con lui assolutamente piacevole. Se siamo riusciti a stare in videochiamata WhatsApp per un’ora è proprio per questa rara piacevolezza di cui lo ringrazio, oltre che per tutte le cose davvero degne di nota delle quali abbiamo chiacchierato.

Ha pubblicato da pochi mesi un album dal titolo “Uno – Tanto rumore per nulla” che è un lavoro interessante, vario e certamente ispirato. Chi mi conosce sa che sono lontano anni luce dal solismo, dai virtuosismi e dalle soluzioni ritmico-armoniche troppo evolute, ma questo modo, spesso tranchant, di concepire la musica suonata non vale davanti ad un’opera sincera, qualunque sia la veste sonora di quest’ultima e l’album di Miky è certamente un lavoro che viene dal cuore.

Cerco di dare un ordine razionale alle tante cose che ci siamo detti in libertà, come se si fosse trattato di una classica intervista mentre in realtà è stata una piacevole conversazione libera e ad ampio spettro.


Miky, dal tuo punto di vista di professionista di riferimento per tantissimi chitarristi giovani e meno giovani, come definiresti lo stato di salute del “pianeta musica”, ad oggi ?

Partendo dal presupposto che fare musica è sempre un piacere immenso, credo sia corretto affermare che oggi sia diventato più difficile usare questo canale espressivo rispetto ad un tempo. Il suonatore, colui che in definitiva è l’attore principale del processo creativo, si trova circondato da tante difficoltà. Renderti visibile, crearti un seguito sufficientemente stabile, ovviamente essere in grado di proporre un discorso artisticamente sempre degno di nota e tanti altri fattori rendono questo percorso un sentiero a volte assai accidentato.

La creazione artistica è sempre una meraviglia per cui si sceglie di continuare a camminare verso la vetta ma, passami la banalizzazione semiseria, ad oggi le vere rockstar sono i manager. Stiamo vivendo, temo, un declino fisiologico ed inesorabile i cui tempi sono dettati dal business. Probabilmente siamo anche sovraesposti ad una quantità elefantiaca di musica raggiungibile senza nessuno sforzo, nessuna attesa, nessun sacrificio.

Tutto ciò uccide il desiderio di scoprire, come in una qualsiasi relazione umana di valore. Non amo fare i discorsi del tipo – una volta era tutto fantastico, oggi non funziona niente – ma per quanto mi riguarda penso che un po’ del desiderio di scoprire, fondamentale in una buona fruizione artistica sia alimentato da alcune difficoltà “sane” come quelle che incontravamo un tempo per procacciarci le musiche che bramavamo conoscere meglio. Ho atteso dischi di importazione per mesi, ho reperito con difficoltà informazioni, spartiti, tablature, riviste che oggi sarebbero disponibili in trenta secondi, con due click su Internet.

Questa facilità di ottenere tutto subito uccide la bramosia di scoprire, dedicare tempo ed attenzione a un brano, ascoltando più volte la magia di passaggi, fraseggi, armonie di cui davvero si desidera di poter godere. Oggi le cose sono molto cambiate.

Sono assolutamente d’accordo con le tue considerazioni. Passiamo ad una domanda estremamente più easy. Come ti sei avvicinato alla musica?

Ho sempre avvertito una certa pulsione positiva nei confronti di tutto ciò che risuonava armonicamente ma se devo darti un riferimento preciso devo citare il primo elemento tangibile che mi viene in mente: i Kiss. Non li vivevo, ai tempi, come rock band, il mio immaginario infantile mi portava piuttosto ad identificarli come dei super eroi Marvel. In ogni caso la loro influenza, benché filtrata da uno sguardo ancora bambino, mi diede l’impulso per prendere le mie prime lezioni di chitarra. Sulle ali del mio giovanile entusiasmo presi una decina di lezioni di chitarra da una ragazza più grande di me, a San Pietro Val Lemina. Intendiamoci, ero un dilettante assoluto per cui ciò che imparai fu fondamentalmente il classicissimo giro di Do più una manciata di accordi. Si trattò di una infarinatura di “chitarra da parrocchia” ma tanto bastò per alimentare il mio piccolo ed embrionale “sacro fuoco”.

A quattordici anni ebbi la fortuna di vivere l’emozione del primo gruppo. Avvenne insieme al mio coetaneo Davide Rabito, i cui fratelli maggiori erano già addentro alla musica a livello hobbystico (erano colonne portanti dei mitologici Kroon di Pino Sardella, n.d.r.). Insieme a lui e a qualche altro coetaneo fondai gli Upside, tipico primo esperimento adolescenziale a cui oggi guardo con scontata tenerezza perché è stato pur sempre l’inizio di un mio percorso personale davvero significativo.

La loro saletta insonorizzata, a Pinerolo, divenne una sorta di palestra sonora in cui poter osservare da vicino ragazzi più grandi di me che già avevano raggiunto sul loro strumento una perizia che a quel momento non mi apparteneva ancora e che rappresentava un grande obiettivo da raggiungere. Ricordo particolarmente i Kroon, band seminale di quella Pinerolo che si contraddistingueva per la scena metal, quella punk, quella demenziale e così via.

Ero, ai tempi, un fan dei Whitefire (gruppo metal pinerolese a cui ho dedicato su queste stesse pagine un’intervista al chitarrista Mario Bellia che era il loro elemento di maggior spicco, n.d.r.). Ricordo con piacere i concerti autogestiti di Corso Piave al mitologico auditorium. Oltre ai Whitefire avevo una certa predilezione per i Makhnovcina del compianto Carlo “Karenza” Decanale (altro personaggio raccontato nello spazio virtuale de “L’assalto del tempo”, n.d.r.).

La voglia di musica suonata cresceva a dismisura, mi servivano situazioni che si adeguassero al mio modo di suonare che nel frattempo stava rapidamente cambiando in meglio. Per un breve periodo, nella primavera del 1990, suonai con i Pigs Killer (vedi storia dei Pigs Killer, n.d.r.), insieme a mio fratello Francesco. La band era agli inizi e stava ancora cercando di raggiungere una formazione stabile. Il mio periodo con loro fu abbastanza breve, solo alcuni mesi.

Ricordo, poi che, all’età di diciassette anni, mi unii ad un’ altra formazione di cui non ricordo il nome, nella quale militava anche Stefano Camusso (vedi articolo sui Mother Goose, n.d.r.) che poi suonò insieme a te nei Mother Goose e nei demenziali Zia Pia. Sempre in quel periodo iniziai, per guadagnare qualche soldo e per vivere esperienze assolutamente distanti dalle mie orbite abituali, a suonare nelle classiche orchestrine di liscio che erano presenti ad ogni festa paesana, nei paesini della piana pinerolese e non solo.

Suonavo musica di tipi davvero disparati, studiavo, ero in un periodo di grande ricettività e oggi mi rendo conto che tutti quegli input lontani anni luce tra loro hanno rappresentato un humus assolutamente positivo per i passi successivi del mio percorso espressivo. La musica, qualunque essa sia, va rispettata ed ha comunque qualcosa da darci. In quegli anni studiavo, studiavo ed ancora studiavo. Partecipavo a seminari, clinics, leggevo riviste specializzate, cercavo di definirmi in quel dedalo di strade che l’armonia magicamente rappresenta. Inconsapevolmente stavo passando un periodo più che fecondo di crescita tecnica, armonica e anche umana.

Tutto ciò, a ben pensarci, racchiude in sé qualcosa di magico. Costruire per se stessi un qualcosa che avrà un grande valore per tutta la vita, senza una precisa premeditazione e, a tratti, senza nemmeno tanta consapevolezza. Se non è un prodigio questo…
Il mio inizio da inconsapevole professionista visse un’altra tappa fondamentale quando partii per il servizio civile a Collegno. Svolgevo il mio servizio presso una sede dell’ARCI ed in quel contesto iniziai a organizzare alcuni corsi base per chitarristi in erba che ebbero un buon riscontro. Ero molto giovane e l’eterogeneità di queste esperienze era per me una massiccia fonte di entusiasmo. Quando finii il servizio civile, i miei responsabili mi chiesero di continuare a insegnare presso la loro sede. L’aspetto didattico mi appassionava già allora ed inoltre rappresentava la non secondaria possibilità di guadagnare un po’ di denaro svolgendo un’ attività che mi appassionava.

miky bianco guitar chitarra

Nel frattempo le cose andavano per il meglio anche sul “pianeta liscio”. Avevo iniziato a suonare in un’orchestra astigiana dalla nomea e dalla qualità maggiori rispetto a quelle pur valide nelle quali avevo militato fino ad allora. Mi trovai con il mio libretto di lavoro di mano, dentro il quale ero già a tutti gli effetti identificato come musicista. Quasi senza rendermene conto.

L’attività didattica si allargò anche ad altre scuole civiche e mi trovai rapidamente a dover gestire una rete di contatti e di docenze che definirei certamente come ragguardevoli. Raccontare le cose in questo modo è piacevole e fluido ma non sarebbe corretto omettere che contemporaneamente a tutte queste situazioni io continuavo a suonare per la maggior parte del mio tempo libero, a partecipare a seminari con chitarristi sempre più completi, a lavorare su me stesso per munirmi di un telaio armonico che potesse essere sempre più in grado di rendermi attrezzato ad ogni tipo di esperienza musicale.

Mi riconosco il fatto, per nulla scontato, di essere stato umile e di avere capito fin da subito che la musica è un universo che mai nessun essere umano potrà affermare di aver visitato per intero. Chi vuole dedicarsi alla musica come mestiere deve considerare che si tratta di un lavoro assai impegnativo. La passione, banalmente, è fondamentale ma certamente non può bastare. Ho vissuto periodi in cui ho suonato dieci, dodici ore al giorno ed è stata una fase della vita assolutamente irrinunciabile per arrivare alla padronanza dello strumento che ho ora.

Ascoltando il tuo nuovo, notevole album “Uno – Tanto rumore per nulla” mi sono trovato a pensare che non si tratta certamente di jazz ma al tempo stesso non è un disco puramente rock-oriented. Secondo te, cos’è?”

miky bianco uno tanto rumore per nulla

Mi fa piacere che tu me lo chieda. In un certo senso è una domanda che mi sono posto anche io. Come te, non amo rinchiudere la musica in rigidi comparti di genere che rischiano di guastare la purezza che dovrebbe sempre contraddistinguere un ascolto “sano”. Non sto dicendo, ovviamente, che non esista il concetto di genere musicale ma in realtà preferisco affrontare la questione da un’altra ottica. Ritengo questo aspetto più una questione di linguaggio. Chi decide di votarsi “anema e core” alla musica deve in primis imparare un linguaggio. Detto così pare semplice ma non lo è per nulla. Alcuni tra questi sono più razionali, altri sono più, per così dire “di pancia”.

La questione centrale diventa scegliere come e cosa usare del linguaggio che si è imparato negli anni in cui tutti noi suonatori abbiamo dedicato ore allo studio dello strumento, dell’armonia, del ritmo e di tutti gli ingredienti che compongono il mondo delle note. A questo punto diventa essenziale non imitare altri, trovare la tua personale linea espressiva, la tua chiave, il tuo peculiare modo di svelarti. Il resto rischia di essere freddo manierismo. Faccio un parallelo con i fumetti di cui so che anche tu sei appassionato.

Prendi, che so, Magnus, Wolinsky, Jean Marc Reiser… certamente hanno tutti compiuto quel percorso di cui discutevamo prima, quell’appropriarsi di un linguaggio comune che poi , da grandi artisti quali sono, sono stati in grado di personalizzare fino a rendersi riconoscibili. Ecco, credo che quando un artista riesce a essere “lui”, inequivocabilmente “lui”, fuori dalle etichette, fuori dalla massa che suona o scrive o disegna tutta uguale, abbia compiuto un salto di qualità pazzesco. Rifuggire dall’imitazione, dall’effetto clone, è un grande obiettivo per chiunque abbia l’ambizione di proporre un discorso personale e mi ci metto io per primo.

In definitiva, il diktat è fare bene ciò che ami, sempre. Se il presupposto è questo, l’esigenza di incasellare in un genere diventa un pleonasmo del tutto prescindibile. Per lavoro, ovviamente, il discorso è diverso ma la tua domanda era riferita al “cuore”, non al portafoglio. Mi accorgo, negli anni, di avere assimilato moltissime influenze e mi rendo conto che alcune di esse si trasformano più o meno inconsapevolmente in citazioni. Non è un male, basta che tutto ciò non si trasformi in un cliché, in un qualcosa di prestabilito È vitale, nell’armadio della musica, trovare un cassetto nuovo in cui collocare i propri input in maniera sensata e comunicativa. Sono conscio del fatto che si tratti di un obiettivo altissimo. Le piccole ed eventuali citazioni devono comunque inserirsi in un tuo proprio perimetro originale. Altrimenti a chi e a cosa serve il tuo discorso?

Sono assolutamente d’accordo. Torno ad una domanda più vicina al pianeta terra, una domanda da rompicoglioni quale poi in effetti sono. Ascoltando il tuo album mi sono chiesto se non sei interessato alla forma canzone e cosa pensi sull’eventuale uso della voce nelle tue composizioni.

Bella domanda… È una delle tante frontiere della musica che mi piacerebbe esplorare. Partiamo dal presupposto che io non canto poiché non è, diciamo così, il mio territorio. Questo è, in partenza, un limite oggettivo. Non cantando, non sono abituato a concepire le mie composizioni come un alveo ideale per un mezzo espressivo così singolare come la voce, ma al tempo stesso mi piacerebbe cimentarmi in un percorso così distante da quelli che sono solito percorrere a livello artistico.

In realtà, però, va detto che in ciò che scrivo ci sono degli elementi che, in senso lato, possiamo ricondurre alla forma canzone. Uno degli elementi che percepisco in ciò che suono insieme ai miei strumentisti è certamente la melodia, è una sorta di richiamo inconsapevole, il risultato di una cultura sonora con cui comunque sono cresciuto. Ho la fortuna di collaborare con musicisti eccezionali, diversi tra loro, con background differenti e sensibilità diverse. Questo mix fa si che quando suoniamo, a volte “si accende la lampadina”, gli occhi si illuminino e arrivino imprevedibili momenti di flusso creativo.

La mia musica è fatta di tanti ingredienti: improvvisazione, interplay, melodia. In noi e di conseguenza nelle mie canzoni, c’è marcatamente l’elemento melodico mediterraneo, più specificatamente italiano ed in me non c’è la minima vergogna nel dirlo. C’è in modo destrutturato, chiaramente, ma è assai presente perché ci appartiene. Come dicevo poc’anzi, ci siamo cresciuti. Certamente non c’è spazio per melodie melense ma piuttosto per la malinconia che è un sentimento alto. Come quando dopo un temporale, le nuvole si diradano e ti scopri a guardare le pozzanghere che regalano splendidi giochi di rifrazione.

Chissà che in futuro la stupenda eterogeneità che percepisco tra me ed i miei collaboratori non possa portare anche verso la canzone, su quel territorio per me inesplorato. Ultimamente, poi, ascolto parecchia musica cantata… mai dire mai!


Non mi resta che ringraziare Miky Bianco per la cordialità, l’intelligenza e la voglia di comunicare in modo assolutamente sincero la sua smisurata passione. Chi fosse intenzionato a saperne di più sulle sue svariate attività in ambito musicale, può passare attraverso i principali canali social. Ricordo che è da poco uscito il suo nuovo cd che consiglio caldamente a tutti i lettori.

Un saluto dal sottoscritto e da tutto lo staff di Groovin’.

guidoross

guidoross

Guido "Ross" Rossetti è il curatore de "L'assalto del tempo", la stanza virtuale di chi, come lui, è impegnato a riordinare gli antichi fasti della propria scena musicale. Se è vero che la musica passata va ascoltata con attenzione, è altrettanto vero che la sua cornice va descritta con la vivida passione di chi c'era. "Ricordare un futuro" è la mission che lo storico suonatore pinerolese intende dividere con i suoi lettori.

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