C’è lockdown e lockdown. Quando a marzo dell’anno scorso ci venne imposto di rimanere in casa, quando gli esercizi commerciali non essenziali furono costretti ad abbassare le serrande, tutto sommato accettammo di buon grado l’ordine. Un po’ per la paura, un po’ per il senso civico, un po’ per l’incertezza di fronte a una situazione sconosciuta, la nostra reazione fu quella di cantare sui balconi. Cercammo di aggrapparci a quello che avevamo a disposizione. Guardammo più film, leggemmo più libri e ascoltammo più musica. È evidente come fu la cultura a venirci in aiuto.
Il confinamento di oggi invece è molto diverso. Nelle ultime settimane il colore della nostra regione è stato rosso, ma le differenze tra la situazione recente e quella di dodici mesi fa sono palesi. Molta più gente in giro, e di questo ce ne rallegriamo. Molti negozi sono riusciti a restare aperti e non possiamo che gioirne. Ma nello stesso tempo non possiamo rimanere indifferenti nei confronti di una disparità di trattamento per molti versi inspiegabile. Ad esempio, l’abbigliamento è un settore fermo, ma basta avere uno slip su un manichino o vendere scarpe per bambini – ci verrà perdonata questa estrema semplificazione – ed ecco che si rientra nelle categorie autorizzate all’apertura. Anche in questo caso siamo contenti per chi ha potuto continuare a lavorare, ma la nostra empatia ci impone di solidarizzare soprattutto con chi invece ha dovuto sospendere la propria attività. Magari per un codice ATECO sbagliato, o per qualche altra amenità su cui si basano le regole, nel cui ginepraio evitiamo di addentrarci non possedendo sufficienti competenze tecniche. Basta comunque fare un giro in città per rendersi conto di quanto stiamo affermando.
Siccome la stessa cosa accade nel settore della cultura, per noi che ci occupiamo in via prioritaria di musica, restare indifferenti significherebbe anche un po’ essere complici. Denunciamo da sempre la penalizzazione che la musica subisce rispetto ad altri oggetti culturali. Anche solo per le diverse aliquote IVA applicate. Ma la discriminazione si è acuita nel recente lockdown da zona rossa, con librerie aperte e negozi di dischi serrati. Senza poi considerare i negozi di libri che tra i propri scaffali annoverano anche CD e vinili. Per chi ha fatto della passione musicale il proprio lavoro, oltre al danno, pure la beffa.
Non c’è bisogno di scomodare le grandi catene di distribuzione. Persino nella provinciale Pinerolo esistono piccoli esercizi che insieme a prodotti editoriali espongono e vendono dischi in modo del tutto regolare. Non imputiamo colpa alcuna a questi esercenti, che nel pieno rispetto dei principi vigenti e dei protocolli di sicurezza hanno continuato a lavorare. Anzi, ribadiamo il nostro sentimento positivo nei loro confronti. Alcuni sono amici, spesso da loro abbiamo anche effettuato interessanti acquisti. E, in effetti, in una situazione normale staremmo qui ad applaudire chi contribuisce a spacciare buona musica. Ma non possiamo non evidenziare l’incongruenza di norme che legalizzano i famosi due pesi e due misure. La musica è un’arte che ha fatto grande il nostro paese ma in Italia si continua a considerarla prodotto di serie B, oggetto di puro intrattenimento, cui non viene quasi mai riconosciuta una qualsivoglia valenza culturale.
A breve si cambierà colore e, forse, piano piano tutto tornerà alla normalità. Ma a quale normalità? Ci piacerebbe che questo lungo periodo di emergenza servisse anche a riflettere sui valori della cultura in Italia. Magari allargando il discorso alle chiusure di teatri e cinema. Può darsi che qualcuno riesca a spiegarci in modo esaustivo perché questi ultimi sono stati ritenuti pericolosi per la diffusione del virus mentre altri luoghi aggregativi, come ad esempio le chiese – sulla cui essenzialità ci riserviamo qualche legittimo dubbio – sono stati ritenuti sicuri.
Insomma da discutere ce ne sarebbe e non è forse questo il posto. Noi abbiamo voluto semplicemente dire la nostra approfittando di un’iniziativa della nascente organizzazione denominata UNDICI – Unione Negozi Dischi Italiani Coesi Indipendenti – che ha recentemente diramato un comunicato stampa sull’argomento. Dell’associazione fa parte anche Rocker, il negozio di dischi pinerolese, cui siamo ovviamente vicini per questo periodo difficile. Di seguito vi pubblichiamo il testo integrale del comunicato. Crediamo sia inutile dire che ne condividiamo appieno la posizione.
Marco Ughetto, appassionato di musica e giornalismo, chitarrista e cantautore amatoriale, si laurea in Cinema al DAMS di Torino nel 2014, con una tesi sui rapporti tra cinema e cultura digitale. Nel 2002, insieme ad altri quattro amici, dà il via alla prima versione di Groovin' - il portale della musica nel Pinerolese.